I maschi più fashion sono quelli che si confondono con le femmine, nelle sfilate dove fai fatica a capire l’identità e a trovare quella certezza oramai senza valore: quelli di quando dici “che bello!”, per poi ripensarci e mettere a fuoco meglio.
Riflettendo sulle sfilate appena finite di Firenze, Milano, Parigi, possiamo dire Ciao maschio, come lo diceva Marco Ferreri in un film della fine degli Anni Settanta, dove le donne violentavano l’uomo e dove l’incertezza era meno esplicita di ora ma già profondamente annunciata. Sì, perché sembrano tutti simili e confusi, questi maschi: conservano il ruolo antico solo se fanno sport estremi o se indossano streetwear rivoluzionari; i “bei completi”, gli abiti che cadevano a pennello sembrano scomparsi, come sono scomparsi quegli uomini eleganti come certi attori del cinema. Rincorrono un femminile di cui nutrono sensi di colpa anche stilistici, si camuffano da eterni ragazzini impegnati in esplorazioni ludiche quotidiane, protetti da microfibre naturali e altri esperimenti tessili per affrontare una vita difficile, come se fossero sempre alla scoperta di nuove terre. Sono colorati, troppo colorati, con camouflage di neomimetiche fluo per maglie aderenti su corpi magrissimi. Si coprono di loghi che diventano texture ossessive per affermare l’appartenenza a un gruppo contrassegnato da due lettere. Trasformano la memoria della divisa militare strappandola, trasformandola in uno stile grunge da eterno reduce di guerre metropolitane. Denunciano vaghezza ma, soprattutto, alimentano un mercato che deve necessariamente ammantarsi di concetti ecologici e innovativi nei materiali per diventare interessante.
In questo panorama emerge una voce sicura, come quella di un coach: un progetto interessante e capace di creare un percorso di storia dello stile, muovendosi in un ambito familiare a tutti ma strano nel contesto moda: il calcio. È lo sport nazionale, da sempre accompagna la nostra esistenza, a prescindere dalla fede per una squadra; anche chi non lo segue o chi non lo ama ne ha contatto e memoria. Il calciatore, da quando è ritratto sulle figurine tenute con l’elastico a oggi sui profili Instagram, è l’incarnazione dell’immagine maschile, umana e accessibile, dell’eroe popolare che tutti conoscono. Geniale quindi l’idea di raccontare il rapporto fra la moda e il calcio, di evidenziare la costruzione di un’identità maschile fatta di sartoria e sportswear, una storia che parte da icone come George Best e arriva a Francesco Totti.
LA MOSTRA
Fanatic Feelings – Fashion Plays Football non è solo una mostra: è un progetto multimediale di Fondazione Pitti Immagine Discovery, nato in occasione di Pitti Immagine Uomo 94, promosso dal Centro di Firenze per la Moda Italiana e da Pitti Immagine, realizzato grazie al contributo straordinario di MISE e ICE con il patrocinio del Comune di Firenze e della Galleria degli Uffizi. Un allestimento articolato su piani e livelli che contemplano anche musica e un bar: dai disegni di Karl Lagerfeld e di Hiroshi Tanabe che ritraggono celebri calciatori, alle foto di una selezione degli archivi di Sepp Football Fashion, il magazine fondato, come Achtung Mode, da uno dei curatori, Markus Ebner, e selezionate dall’altro curatore, Francesco Bonami. Il tema è il ritratto del calciatore e sta anche nella proiezione del film documentario A 21st century portrait su Zinédine Zidane, realizzato da Douglas Gordon e Philippe Parreno.
In mostra ritroviamo un’immagine maschile che si evolve dall’eleganza iconica di George Best, Eric Cantona o Gigi Meroni, grandi appassionati di moda, di auto e di donne, alle versioni contemporanee di David Beckham, Neymar e Franck Ribéry. Un maschile che non genera dubbi, che fonde lo sport e la moda senza eccessi creativi: con la naturalezza del calciatore si riapre la credibilità di un eroismo semplice ed eterno della bellezza fisica, sana anche quando è trasgressiva, come nelle immagini di Maradona. Lo style non è mai stato così street come nel calcio, nei calzoncini corti dei bambini per la strada e nelle maglie delle squadre – e la maglia è raccontata nella sezione Azzurra, una project room che celebra con immagini, video, oggetti di culto anche i centovent’anni della Federazione Italiana Giuoco Calcio.
Iconico e straordinario anche il Fanatic Bar, in totale atmosfera da bar sport, con gagliardetti delle squadre, foto di campioni e un bartender famoso: Charles Schumann. Indispensabile al racconto che fonde moda e calcio, la musica elettronica di DJ Hell: l’erede tedesco dei Kraftwerk ha mixato tracce sonore di Karl Lagerfeld, con finali di musiche da sfilata, cori di tifoserie e spezzoni di dirette radiofoniche.
FOOTBALL FASHION
Una operazione complessa che nasce da una doppia visione, come spiegano i curatori: “La moda maschile sta attraversando un momento di grande commistione tra il mondo della sartoria, dello sport, dell’active e dello street wear. L’idea di un Football Fashion come espressione di stile personale si manifesterà sempre di più in futuro. Perché dunque non indossare la maglia della nostra squadra preferita sotto un completo sartoriale? La mostra darà proprio luce a questo argomento”, afferma Markus Ebner, uno dei protagonisti del legame tra moda e calcio fin dal 2002. “Fanatic Feelings si concentra sull’immediatezza espressiva e sull’aspetto fortemente emotivo che moda e calcio condividono”, dice Francesco Bonami. “Mentre la sfilata di moda comprime in pochi istanti la visione di un’intera stagione, il campo da calcio sviluppa un diverso senso del tempo, dilatandolo per tutto il campionato”. Una mostra colta, popolare e glamour, tanto da farci rimpiangere ancora di più di non essere in Russia al Campionato mondiale con la maglia azzurra.
‒ Clara Tosi Pamphili
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44
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