Milano. La città che sale? (II)
Secondo e ultimo appuntamento con l’inchiesta sul panorama culturale meneghino. Stavolta abbiamo intervistato i “non milanesi”. Coloro che vivono in altri luoghi o che, pur provenendo da fuori, hanno scelto Milano come loro città d’elezione. Ecco cosa pensano della città fenomeno del momento.
LORENZO GIUSTI ‒ DIRETTORE – GAMEC
L’offerta culturale di Milano è indubbiamente ricca e quella artistica lo è in particolare. Creazione e produzione sono concetti che evolvono di pari passo in una città sempre più aperta ed europea. Artisti, collezionisti e gallerie, alcune delle quali con un vero profilo internazionale, insieme a una fiera in continua crescita, costituiscono la base di un sistema che trova compimento nell’attività delle istituzioni museali, delle fondazioni e dei privati più dinamici. Dentro questa ricchezza ci sono anche ricerca, pensiero critico e qualità, ed è questo l’aspetto più importante.
È un trend positivo che sta coinvolgendo anche i capoluoghi limitrofi ‒ e Bergamo, direi, in particolare ‒ che possono contribuire a rendere ancora più efficace e a mettere a sistema la forza propulsiva di un’area vasta sempre più viva. In quest’ottica servono alleanze ed economie di scala che non sempre vengono adottate, ma i presupposti per un ulteriore sviluppo non mancano.
CLARICE PECORI GIRALDI ‒ REGIONAL DIRECTOR – PHILLIPS ITALIA
Phillips, come casa d’aste specializzata nel XX secolo, trova a Milano i suoi interlocutori naturali: centro del design, dell’arte contemporanea e degli appassionati di orologi da polso, tutti gli specialisti internazionali di Phillips scelgono Milano come meta per raccontare lo specifico modello di business. Anche perché la percezione di Milano oggi all’estero è proprio di una grande vitalità in tutti i settori legati alla creatività. Dalla Milanesiana alle “week” tematiche, sono sempre di più le manifestazioni che aumentano l’attenzione culturale nei confronti della città. Ed è molto apprezzato che si sia cercato di andare oltre allo stereotipo Milano = moda + design. Fondamentali per questa crescita sono state le fondazioni e i soggetti privati, da Prada alle Gallerie d’Italia, che con coraggio portano avanti una programmazione visionaria di livello internazionale.
Resta il fatto che bisogna anche seminare per una crescita costante, non legata solo a eventi spot. Questo è un problema che non riguarda solo Milano, ma un po’ tutte le realtà culturali che funzionano bene se hanno l’“effetto wow”. Attraverso questo effetto temporaneo deve passare la crescita della curiosità culturale che va oltre al momento clou. Bisogna incoraggiare a visitare i musei come Brera e il Poldi Pezzoli per gioire delle loro collezioni permanenti, invitare i visitatori a non fermarsi alle quattro cose più evidenti. In questo senso sono veramente contraria a quelle mostre “immersive” che speculano sull’effetto mediatico di alcuni artisti per imbastire dei percorsi spettacolari che allontanano invece dalla curiosità e dall’approfondimento.
BRUNA ROCCASALVA ‒ CURATRICE – FONDAZIONE FURLA
Milano è stata protagonista negli ultimi dieci anni di una crescita culturale incredibile, a cui hanno contributo operatori di diversa natura, dalle istituzioni pubbliche alle fondazioni private, le gallerie e gli spazi indipendenti. Un fermento culturale che è partito grazie a una positiva congiuntura di energie e iniziative che sono emerse allo stesso momento rafforzandosi a vicenda.
In altre parole, grazie a una generazione di professionisti che, contrariamente a quanto successo in precedenza e/o in altre realtà, ha lavorato all’unisono. E infatti uno degli ingredienti fondamentali di questa rinascita è stato senz’altro il coordinamento e il dialogo tra i soggetti attivi in città che ha davvero creato una scena, adesso riconoscibile anche all’estero. Questo aspetto può e deve essere ulteriormente migliorato, anche con il maggior coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, perché è un presupposto fondamentale per consolidare il posto di tutto rispetto che Milano si è conquistata nella mappa dell’arte contemporanea internazionale.
GIUSEPPE IANNACCONE ‒ COLLEZIONISTA
Da collezionista, gioisco per la città e percepisco la differenza coi primi Anni Zero, quando un grigio torpore sembrava avvolgere ogni tentativo di espansione culturale. Oggi, con il sostegno dei privati, gli appuntamenti culturali sono tra i più attesi dell’anno, i cittadini sono curiosi e hanno sete di novità e le offerte di qualità certo non mancano.
Da collezionista d’arte contemporanea, però, devo rilevare l’assenza delle istituzioni pubbliche nella promozione dei giovani artisti. Milano, sede di bellissimi musei, di collezioni private di respiro internazionale, di gallerie e fiere tra le più interessanti nel panorama contemporaneo, non ha ancora un museo d’arte contemporanea, né uno spazio per ospitare gli artisti più giovani. Sono tanti i giovani artisti che si trasferiscono in città per studiare e affermarsi, ma l’assenza di luoghi pubblici pronti ad accoglierli impedisce loro di crescere e animare il sistema dell’arte cittadino. Così, talvolta, sono costretti ad andare altrove, ed è un peccato. A Palermo, Manifesta 12 ci sta dimostrando che gli artisti italiani non hanno nulla da invidiare ai colleghi internazionali. Pertanto, quello di cui abbiamo bisogno, ora, è che Milano sfrutti il momento per superare quest’impasse, dando finalmente loro le risorse e gli spazi per creare un nuovo ambiente culturale attivo e vivace.
GIACINTO DI PIETRANTONIO ‒ CURATORE
Certamente Milano sta vivendo un momento di attenzione e rinascita che negli anni scorsi si era un po’ perso. Tuttavia, a livello privato, almeno per quanto riguarda l’arte, Milano ha sempre funzionato; le gallerie qui hanno per anni supplito alla mancanza dell’azione pubblica, a cui si sono aggiunti da un decennio HangarBicocca, Fondazione Prada, Fondazione Trussardi, Carriero ecc. Oggi assistiamo anche a un impegno pubblico: pensiamo al PAC, dove Diego Sileo sta facendo un ottimo lavoro, lo stesso dicasi per miart, in grande crescita sotto la direzione di De Bellis prima e di Rabottini poi, che hanno anche il merito non solo di averne migliorato la qualità, ma di aver creato sinergia con le istituzioni cittadine.
La Triennale ha sempre mantenuto livelli alti e ora, con la presidenza di Boeri, questo sarà certamente implementato. Palazzo Reale, criticato da chi a mio avviso non vede le mostre, fa delle esposizioni di gran qualità. Rimane il neo del Museo del ‘900 che, pur avendo un’ottima collezione, a livello espositivo non ha ancora dimostrato di dialogare alla pari con la programmazione di musei internazionali, vuoi per mancanza di spazio espositivo, vuoi per finanziamenti. Questo è un problema soprattutto della politica, che ha aperto dopo decenni un museo senza metterlo in condizione di funzionare. Su questo si dovrebbe concentrare anche la stampa, pungolando i politici ad assumersi le proprie responsabilità. Il Museo del ‘900 oggi è come una Ferrari a cui non viene data la benzina e, finché durerà questa situazione, Milano, almeno per quanto riguarda le arti visive a livello pubblico, non potrà fregiarsi di una vera rinascita internazionale.
DANIELE CAPRA ‒ CURATORE
Milano ha sofferto più di altre città la crisi politica degli Anni Novanta e la presenza a Palazzo Marino di partiti di destra senza una politica culturale degna di questo nome. La crescita degli ultimi anni è dovuta sia al lavoro delle istituzioni, non solo nelle aree culturali, che grazie a Expo hanno messo in atto delle pratiche virtuose: pur con molte criticità, Milano non è stata usata da Expo, ma intelligentemente lo ha usato come occasione di ripensamento. Inoltre questo rifiorire è stato sostenuto dagli enormi investimenti effettuati dai privati, in particolare nei campi dell’arte, dell’editoria e del design, che hanno portato a creare un tessuto culturale vivo.
Questo è stato possibile, a mio avviso, anche perché la città ha tuttora una classe dirigente e una borghesia più attiva e capace della media (per non dire della Capitale). La città deve però stare attenta anche a non strafare, come nel caso di Bookcity nato in contrapposizione a Torino, e deve continuare a lavorare su aree irrisolte, quali ad esempio l’inclusione culturale.
CRISTIANO SEGANFREDDO ‒ IMPRENDITORE CREATIVO
Le città si qualificano per la loro capacità di produrre e scambiare informazioni, di varia natura e nature, tra sistemi diversi fra loro. Non è solo una questione qualitativa ma anche quantitativa, che incrocia non solo gli ambiti culturali. Le emergenze positive di Milano sono note e date. Le criticità sono la scarsa mobilità internazionale che genera scarse informazioni in lingue altre, turisti a parte.
Milano è una città troppo italiana. Manca una base di expat che generi un vero meeting pot, un dialogo normale e continuo, che produca incroci nuovi. Manca una sorta di effervescenza naturale. È tutto molto controllato e pulito. Culturalmente la città ha ancora molte indecisioni, troppi snobismi radical chic e una debolezza istituzionale. A volte la parte privata, vedi Fondazione Prada, fa il ruolo del pubblico, a discapito di musei non sempre di livello internazionale. Se Salone e Fuorisalone sono diventati un benchmark internazionale, portando mezzo milione di persone in una settimana, dall’altra parte è come paragonare un ristorante a un catering. Lasciano poco alla città, che a volte diventa una grande sagra, con le palme in piazza Duomo. Che pure va bene ma non basta. Non ci possiamo dire soddisfatti solo dei numeri. Il nuovo corso della Triennale sarà fondamentale, così la gestione del post Expo. Serve però anche una direzione più disposta a integrare nel suo centro le parti più indipendenti, e vivaci. Una Milano disponibile a meticciarsi maggiormente per non diventare solo una piattaforma premium, per turisti luxury, nel quadrilatero.
MIRKO RIZZI ‒ FOUNDER E DIRECTOR – MARSÈLLERIA
Milano vive una congiuntura positiva, che è certamente anche frutto di una costanza di fattori legati alla sua storia e identità. Quello che è successo negli anni recenti credo sia soprattutto una più incisiva convergenza di interessi tra il crescente investimento privato nell’arte e quello pubblico nelle infrastrutture. Mi pare che invece manchi ancora un riferimento comune a livello istituzionale, un soggetto che sappia creare un sistema dei diversi sistemi che agiscono nella città. Ci sono stati dei segnali molto positivi, ad esempio nelle nomine legate ad alcune delle realtà più importanti nella città, scelte attuali, di qualità e intelligenza, come nel caso di miart, della Triennale ma anche ad esempio nella nomina di una figura della cultura contemporanea come Luca Martinazzoli alla guida del marketing della città. Questo ha sicuramente aiutato a mettere in evidenza, anche a livello internazionale, la bellezza della città e le energie di chi la vive.
L’impressione, che viene dall’esperienza decennale di Marsèlleria, è che però siamo ancora in attesa di un’onda lunga che possa portare un effettivo salto di qualità anche alle realtà più indipendenti perché si possa parlare di un vero e proprio modello.
CRISTIAN CHIRONI ‒ ARTISTA
Le nuove architetture di City Life e quartiere Isola mettono Milano al centro del dibattito contemporaneo, con cambiamenti che si possono riscontare in quartieri di altre città come Polanco a Mexico City o Palermo a Buenos Aires. In generale si sta assistendo a una gentrificazione unificata, dove se ne vanno i vecchi abitanti, gli anziani, i poveri, gli immigrati, per far posto all’arrivo di giovani professionisti. Si sta costruendo un’edilizia da target altissimi, con un’architettura che punta al terziario e ai super ricchi, mentre i medi vanno ad abitare nel circondario ristrutturando le vecchie case. Progetti urbanistici che portano sì alla creazione di parchi, piazze, attività commerciali, che rendono i quartieri belli da vivere e visibili al turista, ma che dall’altra parte contribuiscono alla sparizione di artigiani e vecchie botteghe, perennemente in lotta con le attività dello street food che nascono e muoiono alla velocità della luce.
Un rinascimento in chiave glamour per un pubblico fashion, che si rispecchia con le stesse caratteristiche anche in ambito culturale, dove gli spazi in cui si fa cultura sono connessi al business, al design o alla moda, senza più la rappresentanza di interstizi alternativi, come era per esempio il centro sociale Pergola (quartiere Isola) o altri luoghi trasversali in cui esisteva la contestazione studentesca o gruppi come i Casino Royale (posti dove oggi nascono le boutique alimentari e si ascolta Fedez).
ANDREA BACCIN e ILARIA MAROTTA ‒ CURA.
A Milano stiamo per avviare un nuovo percorso, con la programmazione di Kura. e forse non è un caso che questo stia avvenendo proprio qui: l’invito che ci è stato rivolto dalla Fonderia Battaglia nell’intraprendere con noi questa nuova sfida, è probabilmente un esempio del dinamismo e dello spirito di innovazione che contraddistingue gli attori privati milanesi. È prematuro per noi fare un confronto con Roma, cosa che non pensiamo abbia senso fare. Sono città con caratteristiche diverse, che tutti conoscono. Roma rimane comunque la nostra base, in cui viene prodotta la rivista e dove proseguirà l’attività di Basement Roma. Milano è piena di amici, artisti e gallerie.
Quello che possiamo dire, grazie alle tante persone già incontrate in queste giornate milanesi che ci vedono impegnati nell’allestimento, è che Milano ci sta confermando la sua grande capacità di accogliere e di mettere in relazione le persone.
‒ Santa Nastro e Arianna Testino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati