Dell’abitare e del migrare. Erjon Nazeraj a Parma
Oratorio di San Quirino, Parma ‒ fino al 30 luglio 2018. I grani di un enorme rosario spezzato e steso a terra indirizzano lo sguardo verso una testa in terracotta, autoritratto di Erjon Nazeraj. A sinistra la porcellana riproduce in grandi dimensioni alcune ossa dell'orecchio, monito all'ascolto e simbolo del rumoreggiare odierno sul tema dell'immigrazione.
Dove c’era l’altare, Erjon Nazeraj (Fier, Albania, 1982) ha appoggiato un disegno del suo corpo collegato alla placenta, simbolo della prima “abitazione” umana. Ad abbracciare l’opera, tre fotografie fissano i momenti di una performance realizzata dall’artista nel 2016 mettendo al centro ancora il proprio corpo, avvolto in una coperta isotermica: materiale privilegiato per chi intende declinare l’attualissima tematica dell’immigrazione attraverso immagini esplicite e cariche di forza estetica grazie all’oro prezioso e all’assoluta duttilità.
Il discorso sull’abitazione, abbandonata dai migranti nei Paesi d’origine e disperatamente cercata altrove, si svela dal contesto ‒ una cava di marmo –, si sviluppa in riflessioni sul paesaggio, sulla famiglia e si conclude con Silenzio d’oro, figurazione della “sarabanda mediatica di un fastidioso quotidiano” e della necessità del “silenzio come condizione da rompere, destrutturare per ammettere solo pochi indizi, quelli essenziali a qualificare la mostra, ossia una Storia di migrazione ciclica, incontrollata e incontrollabile che lascia segni nel paesaggio, segni d’oro sul marmo, abitazioni minime, placente” (Andrea Tinterri).
‒ Marta Santacatterina
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