Umano, tanto umano. Matteo Nasini alla Pescheria di Pesaro
Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro ‒ fino al 7 ottobre 2018. L'eclettico artista romano dimostra tutta la sua profondità e leggerezza nell’articolato e sinestetico progetto installativo concepito per gli spazi dell'istituzione marchigiana.
Modellando e armonizzando materiali, tecniche, suoni e colori, Matteo Nasini (Roma, 1976, vincitore del Talent Prize 2016 e de L’arte che accadrà 2017, alla sua prima personale in una istituzione museale) diventa demiurgo di un cosmo fantastico che abbraccia il cammino della civiltà umana, senza conferirgli il triste senso della parabola: egli mette in connessione gli albori della cultura con le ultime frontiere del progresso, e lo fa senza dramma e senza politica, con la consapevolezza che siamo umani, e quindi produttori, per natura, di cose belle e portatori di piacere estetico. Stavolta l’arte non denuncia, ma ci ricorda che veniamo anche dalla fecondità immaginativa, da Eros capace di oltrepassare Thanatos.
SPLENDORE NEOLITICO
Cos’è lo “splendore neolitico” che riecheggia nel bellissimo titolo dato alla mostra? È l’istinto di creatività insito nei gruppi sociali primordiali, che uccidevano, certo, le prede in gruppo per potersi alimentare, ma che, con i resti non edibili, costruivano strumenti musicali e ne traevano le prime armonie: Nasini, sperimentatore sonoro (musicista egli stesso, diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma), ricostruisce in ceramica modellata dalla stampante 3D gli zufoli preistorici ricavati dagli ossi, li suona, li registra e li riproduce al centro di una variopinta tenda di fili di lana che si irraggiano dal culmine dell’ex Chiesa del Suffragio, sala a pianta centrale parte integrante dello spazio espositivo, donando al pubblico un effetto suggestivo e giocoso.
L’IDEA DI UMANITÀ
Nella prima stanza è il colpo d’occhio cromatico integrato al gioco di prospettiva a catturare lo sguardo globale: i grandi manufatti, sapientemente disposti nello spazio, evocano rovine di colonne di immaginari templi, ma assomigliano piuttosto a giganteschi bastoncini di zucchero colorato. Girare loro attorno fino all’arazzo che segna lo sfondo, scoprendo tra essi una significativa ruota di ceramica bianca (anch’essa ottenuta da stampante 3D) è compiere un tragitto di stupore e divertimento mettendo il naso, quasi inconsapevolmente, in qualcosa di universale e ancestrale. Ad avvalorare l’idea di umanità è che i contenuti di profonda portata non sono scindibili dalle azioni artigianali che hanno dato forma alla mostra, che rivela un’opera egregia di regia e manualità. Perché questo progetto piace? Perché è umano, ma non troppo umano, perché è umano, come umano è il lavoro.
‒ Valeria Carnevali
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