Ho visto Giorgio Lucini l’ultima volta qualche mese fa a casa sua, in un appartamento che amava molto, in corso Sempione a Milano. La vista era stupenda e sono certa che lui, grande viaggiatore, insieme alla moglie Clara, avrà spaziato spesso con lo sguardo immaginando nuovi viaggi.
Iniziavano i primi caldi e Giorgio era vessato da molte malattie; nonostante questo parlava ancora di libri, degli artisti che aveva conosciuto nel corso della vita. Era meno ironico del solito. Percepivo nelle sue parole una certa stanchezza, che mi ha fatto pensare che stesse proprio male.
L’avevo conosciuto oltre dieci anni fa, avevo seguito la sua attività di editore raffinatissimo, figlio e nipote di due editori. Una storia che Giorgio amava raccontare. Lo si incontrava alle sue mostre, nel suo studio, una volta era venuto a Brera a fare lezione ai miei ragazzi, rimasti affascinati da quel gentile signore, che aveva vissuto la storia dell’arte e dell’editoria, che aveva portato loro dei regalini: dei piccoli volumi da lui realizzati. In mezzo ai ragazzi Lucini era totalmente a suo agio, mi ringraziò, poi, perché si era molto divertito.
Era il decano degli stampatori italiani, lui stesso si definiva con un vezzo “tipografo”, ma era ovviamente una definizione limitativa.
LA STORIA
Achille Lucini, suo nonno, aveva fondato l’azienda di stampa negli Anni Venti. Era un’officina di arte grafica, con sede in via Piero della Francesca, dietro a corso Sempione. Negli Anni Cinquanta l’azienda era stata ereditata dal padre di Giorgio, Ferruccio, un uomo geniale che aveva rapporti con grandi personalità del mondo dell’arte e della grafica, primo fra tutti Bruno Munari, che con i Lucini ha fatto cose stupende, i libri illeggibili. Con Giorgio un calendario aziendale, che riportava solo i 365 numeri dei giorni. Un oggetto minimalista, talmente minimo che per divertirsi i due avevano tolto alcuni numeri, “tanto nessuno se ne sarebbe accorto”.
Aveva fatto il liceo dai gesuiti del Leone XIII, si era laureato in economia alla Bocconi e aveva iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia quando ancora aveva i calzoni corti, lo faceva durante le vacanze per fare pratica. Aveva imparato presto i trucchi del mestiere, toccava i libri con una sapienza tecnica rara. Ricordo ancora quando mi spiegava il perché della scelta di ogni volume realizzato: il tipo di carta, il formato, la copertina, il cofanetto, le foderature. Ne parlava con un tale amore e con una tale competenza cha era difficile rimanere indifferenti: tutto questo ci mancherà.
‒ Angela Madesani
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