La crisi dell’esperto. L’editoriale di Francesco De Biase
Il saggista e dirigente pubblico del Comune di Torino, Francesco De Biase, riflette su cause e conseguenze della crisi che sta investendo il ruolo dell’“esperto”. In qualsiasi area del sapere.
La perdita di rappresentatività da parte di diversi soggetti pubblici e privati; l’accesso diretto attraverso la Rete a informazioni e prodotti di ogni genere; la possibilità di comunicare in modo immediato a livello globale: sono alcuni recenti fenomeni che sembrerebbero aver messo in crisi e fatto venir meno le funzioni di orientamento, critica, validazione e mediazione che caratterizzano il “lavoro” di molte figure professionali. Sembrerebbe, infatti, non più utile la figura dell’esperto, soggetto che, avendo sviluppato conoscenze, competenze ed esperienze, dovrebbe essere in grado di validare informazioni, fornire indicazioni di lettura e critica, coadiuvare nella codifica e decodifica di eventi e prodotti, proporre interpretazioni, percorsi e soluzioni. Molti gli ambiti in cui ciò sta accadendo: cultura, medicina, psicologia, giornalismo ecc. Se posso ottenere qualsiasi tipo di notizia, informazione, servizio, prodotto, direttamente e istantaneamente dalla Rete e dalle tecnologie, non ho più bisogno di intermediari, mediatori ed esperti.
In diversi ambiti è in atto una tendenza che mette in discussione o non riconosce l’importanza del ruolo dell’esperto, trattando competenze e conoscenze specifiche al pari di opinioni qualsiasi e quindi valevoli l’una quanto l’altra (con ciò non si intende voler negare la storicità delle conoscenze per tutti gli ambiti e le discipline). Questi fenomeni pongono alcuni quesiti: perché e come si sta modificando il rapporto tra cittadino/comunità ed esperto? È ancora valida e utile la figura dell’esperto? Quale dovrà e potrà essere il suo futuro? Per rispondere a queste domande bisogna capire che cosa abbia prodotto tale situazione.
“In diversi ambiti è in atto una tendenza che mette in discussione o non riconosce l’importanza del ruolo dell’esperto, trattando competenze e conoscenze specifiche al pari di opinioni qualsiasi e quindi valevoli l’una quanto l’altra”.
Vi sono infatti cause imputabili a come gli esperti hanno declinato il loro ruolo, altre riconducibili sia ad alcune dinamiche sociali sia alle trasformazioni che alcune tecnologie e media hanno introdotto.
Rispetto alle prime, in modo più o meno consapevole a volte sono stati adottati da intellettuali/esperti comportamenti di snobismo, distanza, se non di arroganza nei confronti di molti cittadini e comunità trattate come soggetti ignoranti, non in grado di capire la complessità dei fenomeni sociali e culturali. Altro motivo della crisi dell’esperto è dovuta alla velocità con cui oggi viaggia la conoscenza in tutti i campi tale da rendere rapidamente “obsolescenti” scoperte, informazioni e tecnologie, producendo un fenomeno che potremmo definire “relativismo continuo” che fa sì che definizioni, certezze, percorsi, ma le stesse conoscenze, competenze ed esperienze che caratterizzano il lavoro dell’esperto siano messe in crisi e superate dalla loro continua e rapidissima evoluzione.
Un’altra causa si può rintracciare nella tendenza odierna a semplificare/banalizzare aspetti, problematiche e discorsi appartenenti ai più svariati ambiti, quasi come se approfondire gli argomenti, trattare la complessità, individuare le molteplici connessioni fosse un “vezzo” da intellettuale inutile e senza relazioni con il reale e la vita quotidiana. Tale approccio privilegia la semplificazione alla complessità, il riduzionismo all’intreccio, l’adesione incondizionata al pensiero critico, l’approfondimento alla superficialità, il tutto funzionale a un consumismo veloce, immediato, ripetitivo. Sempre in questi decenni, un altro fenomeno ha contribuito a creare la situazione su descritta. Si è creata e diffusa in più ambiti una retorica della partecipazione portata a bandiera del protagonismo, dell’inclusione e dell’accesso, mentre spesso le pratiche partecipative si sono limitate a proclami, interazioni banali, condivisioni strumentali e superficiali che ben poco hanno a che fare con veri processi partecipativi. Tali azioni hanno generato ambiguità e confusione tra l’indispensabile realizzazione di strategie e pratiche di empowerment e la necessità di distinzione e differenziazione dei ruoli e delle responsabilità tra professionisti competenti e cittadini.
“Un rischio odierno, all’opposto, è la tendenza all’iper-specializzazione del sapere, che porta alla frammentazione sempre più specifica della conoscenza”.
Ma come ri-mediare, a queste situazioni? Ri-mediare, inteso nei suoi diversi significati: trovare soluzioni, cure e percorsi ma anche il mettere in atto processi di ridefinizione delle relazioni. Già Edgar Morin e Norberto Bobbio hanno concepito il ruolo dell’esperto non tanto come colui che possiede certezze, conoscenze, competenze solide, stabili e permanenti, piuttosto come qualcuno che individua bisogni, pone domande e dubbi. Qualcuno che tratta la conoscenza ben sapendo quanto sia immenso e illimitato ciò che non conosce. I fenomeni in atto richiedono una ridefinizione del ruolo dell’esperto, degli strumenti di lavoro, delle metodologie, delle relazioni. Un rischio odierno, all’opposto, è la tendenza all’iper-specializzazione del sapere, che porta alla frammentazione sempre più specifica della conoscenza.
Dall’urbanistica alla antropologia, dalla medicina alla cultura, dalla biologia alla psicologia, dall’economia all’informazione, le modalità per cercare di rispondere a tali problematiche stanno nella necessità di “legare le conoscenze separate, compartimentate, disperse” (Edgar Morin, 2018). Solo la connessione tra le conoscenze può infatti tener conto della complessità dei problemi e solo la consapevolezza della loro interrelazione può indicare soluzioni efficaci.
‒ Francesco De Biase
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44
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