Europa oggi e politiche del welfare
Irene Sanesi prende spunto dalla nascita del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato per riflettere sul ruolo di musei e centri culturali nel panorama europeo odierno.
Con questo titolo, terribilmente contemporaneo, il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci inaugurava trent’anni fa con una mostra curata dal suo primo direttore Amnon Barzel. Un po’ apolide un po’ cavaliere errante, Barzel aveva fatto propria la visione di un industriale, Enrico Pecci, che insieme ad altri visionari imprenditori e politici (quando privato e pubblico trovano le giuste congiunzioni) aveva dato vita a un’imponente sfida contemporanea. Prima struttura a essere costruita ex novo per far albergare l’arte e gli artisti coevi, il Centro Pecci apriva le porte a coloro che erano stati obliati nel frattempo dalle più autorevoli Biennali. Europa oggi divenne un duplice manifesto: da un lato segnò la nascita di un luogo internazionale frutto al contempo della vocazione produttiva del distretto tessile, dall’altro sfidò l’establishment artistico come un vero e proprio giro di boa.
Interrogarsi in senso ampio, a distanza di trent’anni (in fondo l’età della maturità nella vita di una persona), su quella che è stata una delle operazioni più complesse nel panorama culturale dopo i ruggenti Anni Ottanta, è ben più di un esercizio di stile.
“L’arte nei suoi diversi e multiformi linguaggi è ancora germe di provocazione?”
La prima riflessione riguarda il ruolo di questi contenitori: più museo o più centro? Con una vocazione turistica o civica? E, se possibile, come tenere insieme le due anime? Come riuscire a essere dilemma e al tempo stesso risposta alle istanze di una civitas che è sempre più community?
La seconda riflessione afferisce alla dimensione glocal: quale il paramento di riferimento? Il mondo o la città? O forse il villaggio globale in chiave creativa (glocreal, dunque)?
E ancora, un terzo pensiero: l’arte nei suoi diversi e multiformi linguaggi è ancora germe di provocazione? Quanto vale in termini di indipendenza e libertà di espressione il finanziamento pubblico? Quale il peso e il respiro di quello privato? Per quali contenitori giuridici, nell’attuale scenario di ibridazioni mentre il profit sta superando i propri confini con le società benefit e il non profit entra nel recinto business con l’impresa sociale?
Infine, tra i variegati temi che gli Stati d’Europa stanno discutendo, non senza posizioni conflittuali, la cultura e l’arte contemporanea come possono occupare uno spazio necessario?
“Potrebbe risultare di grande efficacia il coinvolgimento delle istituzioni culturali nelle sedi considerate non convenzionali, quali l’economia e la finanza”.
E farsi portavoce di un approccio meno settoriale e più trasversale secondo il quale si renderanno sempre più urgenti tavoli intersettoriali che guardano ai benefici top/down nel sociale, nel welfare, nell’educazione, nella mediazione culturale. Così come potrebbe risultare di grande efficacia il coinvolgimento delle istituzioni culturali nelle sedi considerate non convenzionali, quali l’economia e la finanza, per esempio.
Avendo chiaro che in ballo non c’è (sol)tanto la sorte dei fondi, per quanto importante, bensì il destino dei valori (dimenticati) di un Occidente europeo le cui radici sono patrimonio dell’umanità.
‒ Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44
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