Claudia Melotti – Libere Migrazioni. Correnti di Deriva
La mostra ripropone, con diverse aggiunte e ampliamenti, il percorso con la quale la Galleria Embrice aveva già presentato i lavori di Claudia Melotti.
Comunicato stampa
A Porto S. Stefano, nel comune di Monte Argentario, presso la Fortezza Spagnola, il 3 settembre si inaugura Claudia Melotti, Libere Migrazioni. Correnti di Deriva. La mostra ripropone, con diverse aggiunte e ampliamenti, il percorso con la quale la Galleria Embrice aveva già presentato i lavori di Claudia Melotti. In particolare è documentata la parte più recente di un percorso artistico iniziato con il ruolo di illustratrice. Ruolo assunto nel tempo ultimo dei suoi studi, intrapresi in continuità con una speciale maestria manifestatasi già nell’infanzia. A otto anni Claudia era il parallelo figurativo di molti bambini musicisti prodigio. L’Africa, con la straordinaria ricchezza creativa e la sua drammatica storia, è entrata direttamente attraverso la vita, nel lavoro della nostra Artista. Ma le migrazioni, nelle quali lei ci conduce, anche attraverso l’esito attuale del destino di una gran parte di quei popoli, sono anzitutto dentro di lei. Non sono soltanto i popoli a migrare, ma il fluire di tutto intorno a lei viene letto come migrazione. “Corpi alla deriva; deriva dell’anima; deriva della coscienza; essere alla deriva; correnti di deriva. Molte volte ogni giorno veniamo a contatto con il concetto di deriva e molte volte lo allontaniamo, come uno scomodo tabù.” Così l’autrice a proposito di alcune delle sue opere esposte in questa mostra. Inevitabile il tema dell’esercizio professionale dell’illustratore, a confronto con la espressione artistica, confronto dal risultato scontato per i più: di essere le due figure fatalmente separate dai ruoli, per l'obbligata integrazione degli uni e la possibile libertà degli altri. Il mercato, in realtà, ribalta oggi in continuazione la condizione operativa. Le testimonianze figurative del tempo (9.000-4.000 a.C.) dei deserti della Namibia e del Sahara fertili, sono illustrazioni e, al tempo stesso, straordinarie testimonianze artistiche di condizioni di vita scomparse nel tempo. Di fatto l’idea della migrazione, soggetto dell’opera di Claudia Melotti, coinvolge oggi biografie di artisti che lasciano lo studio per la rete o escono in strada, confrontandosi con l’ordinato caos metropolitano o con ecosistemi locali apparentemente marginali. Sembra qui più propria una ibridazione figurativa di illustratore e artista come parallelo a quella letteraria di novella e racconto, proposta da Benjamin nella sua analisi delle Affinità elettive. La natura selvaggia metropolitana, che contiene i poveri e gli emarginati come stanziali in cerca di una nuova migrazione è stata a lungo indagata e rappresentata dalla nostra Artista, che ne condivide quotidianamente le tensioni; coercizione e violenza sono ritmicamente citate, come tema e come figuratività. Un corredo istintivamente necessario per lei, del magico-demoniaco, che fatalmente affiora anche nella letteratura per l'infanzia.
Le migrazioni di Claudia qui raccolte, che fanno comprendere il peso della vita sul quotidiano, superano le distinzioni di genere, senza scomodare l’universo dei grandi artisti-illustratori contemporanei, da Picasso a Chagall, o Dubuffet e Basquiat, il lavoro dei quali è stato accanto alla nostra artista per un certo tempo. I legni che dipinge e ripropone sono raccolti in mare da lei, trascinati da una piccola barca a motore. Asciugati al sole dell'Argentario, essi sono tuttavia memoria iconica delle grandi migrazioni; migrazioni forzate, come quella degli Herero della Namibia tedesca, cacciati nel deserto Omaheke nel 1904. L'itinerario dei migranti di Claudia non viene fissato nelle icone dei salvagente, dei gommoni, delle carrette del mare. Essi viaggiano nell'ordine mortale delle navi che dal XVII secolo portavano gli schiavi dall'isola della Gorèe a Salvador, sulla rotta transatlantica più breve, e di lì al nord, Caraibi e, più tardi, USA. Tappe di un itinerario storico 1650, 1904, 2000. La più recente produzione dell'artista, esposta da Embrice, mostra qualche tangenza col mondo dell'informale, che è interpretabile come una sorta di liberazione, laddove per rappresentare la tragedia, non servono più volti od oggetti, che appaiono solo in filigrana, nella velatura di un mattino di nebbia in mare. Le stesure di colore-non colore su panni di tela grezza, fotografano, tanto i residui del naufragio quanto i residui rifiuti sparsi negli spazi metropolitani; dove la mancanza di cultura e il perenne oblio li lascia abbandonati. Citazione di una parte per il tutto, sineddoche, i frammenti dipinti, visti con l'occhio dell'Artista, rimandano a quegli aspetti di sofferenza della vicenda umana nel loro insieme.