Pittura lingua viva. Parola a Patrizio Di Massimo

Viva, morta o X? Sesto appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.

Patrizio Di Massimo (Jesi, 1983) vive e lavora a Londra, dove si è diplomato alla Slade School of Art. Tra le sue mostre personali: ChertLüdde, Berlino (2018), Rodolphe Janssen, Bruxelles (2017), NICC, Bruxelles (2016), Monteverdi, Toscana (2015), T293, Roma (2014), Kunsthalle Lissabon, Lisbona (2014), Gasworks, Londra (2013), Villa Medici, Roma (2012). Tra le mostre collettive: EVA International, Limerick (2018), HangarBicocca, Milano (2017), CURA Basement, Roma (2016), Fiorucci Art Trust, Londra (2015), Triennale di Milano (2015), MUHKA, Anversa (2014), Castello di Rivoli (2014), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino(2013), MAXXI, Roma (2012).
Nel corso dei secoli nell’arte figurativa la canonizzata gerarchia dei generi ha visto per lungo tempo la ritrattistica seconda per importanza solo alla pittura di storia ‒ fosse essa effettivamente descrittiva di accadimenti storici, religiosi o mitologici ‒ con un continuo, acceso dibattito su imitazione e rappresentazione, idealismo e realismo. Gli artisti hanno costantemente fatto ricorso a ritratto e autoritratto per mettere in scena i personaggi del gran teatro del mondo, evidenziandone di volta in volta status, sentimenti, vizi e virtù, in maniera diretta e letterale o con metafore e allegorie. La definizione e il racconto del sé, o una sua proiezione, anche per l’artista sono sempre passati attraverso l’autoritratto, si pensi, per citare solo pochi, celeberrimi, esempi, a Dürer, che si effigia ieratico quale novello Salvator Mundi, agli innumerevoli autoritratti di Rembrandt nelle varie fasi della vita, o a de Chirico, con il suo disinvolto scivolare, già postmoderno, tra guise, stili e mascheramenti.
Nel caso di Patrizio Di Massimo la teatralità insita nel ritratto e nell’autoritratto ‒ onnipresenti soggetti dei suoi dipinti sono egli stesso e la moglie ‒ costituisce una “possibilità performativa”. “Quando mi ritraggo come mangiatore di spade, Dracula o sottomesso sessuale ho la possibilità di vivere quelle esperienze come reali. La pittura mi fa vivere tante vite parallele”, afferma Di Massimo nel commentare tale processo di trasfigurazione del dato biografico e del quotidiano.

Patrizio Di Massimo, Self portrait as a ghost, 2017. Courtesy the Artist & T293, Roma. Photo Mark Blower

Patrizio Di Massimo, Self portrait as a ghost, 2017. Courtesy the Artist & T293, Roma. Photo Mark Blower

ATTIVARE LA MEMORIA

Dopo un’ampia sperimentazione transmediale ‒ video, performance, installazione ‒, toccando temi quali la storia coloniale italiana e l’orientalismo e creando mise en scène e decor ridondanti e sofisticati, popolati da cuscini, tendaggi, desuete nappe fuori scala e carte da parati – al fine di “attivare la memoria”, mettere in questione il decorativismo e decontestualizzare una certa ossessione per l’arredo e i suoi significati simbolici ‒ Patrizio Di Massimo si è concentrato sulla pittura. “Ho smesso di usare video e installazione. Quei lavori sono per me importanti esperimenti giovanili”, racconta. E aggiunge: “La storia rappresenta il passato. La pittura mi ha riportato al presente”. L’avvicinamento a questo mezzo risale all’adolescenza: “Mio padre medico, che mi vedeva sempre disegnare, mi presentò un suo paziente pittore, il quale mi invitò ad andare nel suo studio quando volevo. Passai tanti pomeriggi con lui a imparare olio e incisione. Poi ricordo i cataloghi di pittura moderna e le mostre di Picasso, Kandinsky, Velázquez che andavo a vedere a Roma, dalle Marche, accompagnato in macchina dai miei genitori che assecondavano la mia passione”. Così, man mano, l’artista alimenta un colto immaginario le cui fonti spaziano da Agnolo Bronzino a Otto Dix, passando per Savinio e Casorati, Schad, Balthus, Klossowski e Picabia. Nei dipinti di Di Massimo si ritrovano, e convivono, manierismo, realismo magico e nuova oggettività, pose contorte, corpi turgidi, ambigue figure serpentinate, dettagli anatomici esasperati, in bilico tra bellezza e grottesco, ironia e mélo, “tutti elementi che fanno parte della vita, e quindi del lavoro”. Non senza dimenticare una soffusa, e diffusa, componente di erotismo, “una forza vitale primaria e primordiale, vicina all’impulso dell’arte”. Fondamentale punto di partenza il disegno, “che permette alla creatività di fluire senza passaggi intermedi e senza sovrastrutture tecniche o intellettuali; una porta d’accesso all’ispirazione pura”.

Patrizio Di Massimo, Do it again if you dare, you jerk!!!, 2018. Courtesy the Artist & T293, Roma. Photo Mark Blower

Patrizio Di Massimo, Do it again if you dare, you jerk!!!, 2018. Courtesy the Artist & T293, Roma. Photo Mark Blower

TRADIZIONE E NOVITÀ

In Di Massimo la ripresa della tradizione e di iconografie più o meno classiche offre il pretesto per sviluppare nuove narrazioni possibili, in cui vero e verosimile si sovrappongono e si fanno interscambiabili, come evidente nel recente ciclo di lavori realizzati per Volcano Extravaganza, festival dell’arte promosso e organizzato da Fiorucci Art Trust sull’isola di Stromboli. L’artista ne raffigura i protagonisti ‒ artisti, curatori, collezionisti ‒ in litigio tra loro. Qui il conflitto si carica di valenze tanto giocose quanto parodistiche. Afferma Di Massimo: “Lavorare con Milovan [Farronato, curatore di Volcano Extravaganza, quest’anno insieme a Runa Islam, N.d.R.] è polarizzante. A Dhaka, in Bangladesh, dove c’è stata la première di Volcano Extravaganza durante il Dhaka Art Summit, c’era un’alta tensione creativa. Ho metabolizzato l’esperienza con questi dipinti. Per la prima volta ho ritratto amici esistenti, soggetti nuovi, che non fossero solo me o mia moglie. Mi sono molto divertito. I dipinti sono ambientati di notte, quando escono i mostri”. L’ampliamento della gamma dei soggetti lascia presagire un’ulteriore evoluzione del lavoro dell’artista, che, nel citare un altro dei suoi riferimenti, David Hockney (“There is portraiture, landscape and still life! What else is there?”), in qualche modo anticipa: “Ho scelto il ritratto, ma spero di poter includere presto anche paesaggio e natura morta”.
Resta quindi la curiosità di vedere come ‒ e se davvero ‒ Di Massimo si confronterà con questi generi pittorici saldamente legati a storia e tradizione. Ma, ancora una volta, i mondi da lui creati e trasposti su tela, pur nella loro totale unicità, tradiranno origini lontane e archetipiche: “Io credo che i dipinti esistano già. Il mio lavoro è quello di portare alla luce quelle immagini che sono presenti nel vortice della mia coscienza. Questa è l’urgenza e il tentativo”.

Damiano Gullì

Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi

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Damiano Gullì

Damiano Gullì

Damiano Gullì (Fidenza, 1979) vive a Milano. I suoi ambiti di ricerca sono l’arte contemporanea e il design. Da aprile 2022 è curatore per l'Arte contemporanea e il Public Program di Triennale Milano. Dal 2020 è stato Head Curator del…

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