Giocare con l’arte. Parlano i protagonisti di Festa Franca
Parola ad Adelaide Cioni, Fabio Giorgi Alberti e Marta Silvi, impegnati nella realizzazione di “Festa Franca”, al via in Umbria il 23 settembre. Nella cornice di uno spazio indipendente in provincia di Perugia.
Una mostra, un simposio, un ciclo di performance, un’occasione per celebrare il lato ludico dell’arte, puntando sulla sua componente partecipativa. Tutto questo è Festa Franca, evento giunto alla seconda edizione dopo l’esordio nel 2016. A tenere le redini dell’impresa sono gli artisti Adelaide Cioni e Fabio Giorgi Alberti, coadiuvati dalla curatrice Marta Silvi, che aprono le porte dello spazio Franca ‒ il loro studio a Cannara, in Umbria ‒ invitando gli artisti ‒ Elisabetta Benassi, Thomas Braida, Giovanni de Cataldo, Stefano Emili, Matteo Fato, Myriam Laplante, Sean Lynch, Jo Melvin, Alice Schivardi, Namsal Siedlecki, Caterina Silva, Carola Spadoni, Donatella Spaziani, Ivana Spinelli e gli stessi Cionci e Giorgi Alberti ‒ e i curatori ‒ Cecilia Canziani, Carla Capodimonti, Simone Ciglia, Elisa Del Prete, Vasco Forconi, Antonio Grulli ‒ a confrontarsi sul tema del gioco. All’insegna della condivisione.
L’INTERVISTA
Che cos’è Festa Franca? Da dove trae origine e quali sono i suoi obiettivi?
Adelaide Cioni: La Festa Franca è un evento che ci siamo inventati con Fabio [Giorgi Alberti, N.d.R.] per la voglia di condividere lo studio bellissimo trovato quando ci siamo trasferiti in Umbria. L’idea è di mettere a disposizione uno spazio fuori dai grandi centri, libero da qualsiasi senso istituzionale o di mercato, dove trovarsi e mettere insieme opere e discorsi con altri artisti, su un presupposto di leggerezza, per aprire poi tutto questo al pubblico.
La prima Festa Franca l’abbiamo organizzata nel 2016, appena entrati nello spazio, è stata una cosa molto di pancia e anche molto improvvisata, forte per certi legami che ha creato. Da quest’anno abbiamo sentito il bisogno e la curiosità di collaborare con dei curatori e abbiamo deciso di coinvolgere Marta Silvi, amica e curatrice che stimiamo moltissimo e che sta arricchendo Festa Franca con la sua incredibile energia.
Marta Silvi: È una vera e propria festa, un’occasione rituale, connessa a tempi ciclici, per celebrare la voglia di fare arte, parlarne, goderne, condividendo una passione comune. Senza dimenticare la qualità nella proposta. Presupposti semplici che molto spesso oggi sembrano dimenticati.
In base a quali criteri avete scelto gli artisti, i curatori e i critici coinvolti nel progetto?
A. C.: Gli stessi in base ai quali si invitano delle persone a una festa: il piacere, la curiosità, la stima, il caso.
Fabio Giorgi Alberti: Non è stato assolutamente facile scegliere, abbiamo deciso di invitare artisti con cui sentiamo un’affinità di ricerca e condividiamo lo spirito con cui vivere il mondo e il mondo dell’arte.
M. S.: Per affinità elettive, analogia negli orizzonti di indagine, stima nei confronti di professionisti amici, voglia di approfondire il lavoro di artisti o curatori ancora mai incontrati. L’obiettivo è rimasto sempre lo stesso: il piacere delle relazioni professionali e personali. Tanti altri ancora avremmo voluto coinvolgere, ce lo riserviamo per la prossima edizione!
Raccontateci qualcosa dello spazio Franca, dove prenderà forma l’iniziativa.
F. G. A.: Franca è in Umbria, a Cannara, paese famoso per le cipolle, molto industrializzato e molto rurale, terra di mistici, a tre chilometri dal luogo in cui San Francesco parlò agli uccelli.
Quando due anni fa ci siamo stabiliti in questa zona, pensando di condurre vita da eremiti, siamo rimasti sorpresi nel trovare un territorio fecondo per il Contemporaneo: dalla Calamita Cosmica di De Dominicis e l’instancabile attività di Viaindustriae a Foligno al Teodelapio di Calder, le residenze di artisti internazionali negli Studi Mahler-LeWitt e l’incessante lavoro sul territorio dello studio A87 a Spoleto.
A. C.: È un capannone grande ma non smisurato, che da fuori sembra un giocattolo e dentro ha molta luce. È nato come falegnameria negli Anni Sessanta, poi è stato magazzino delle cipolle (!). L’abbiamo chiamato “Franca” in onore dell’ultra-ottuagenaria signora Franca che ha deciso di affittarlo a noi invece che a un centro fitness, e per tutti i significati libertari della parola.
M. S.: Franca è un luogo meraviglioso, dove la luce impregna ogni angolo. L’architettura retrò e la campagna circostante immergono lo sguardo in uno scenario senza tempo, dove finalmente riposare la mente e produrre lontani dallo stress.
Il tema del gioco esercita da sempre un fascino particolare sugli artisti. Come avete deciso di rapportarlo all’idea di libertà che caratterizza Festa Franca?
A. C.: Concentrarsi sul gioco è un modo per sottrarsi alle spinte che arrivano dall’esterno e che cercano di imprimere una direzione al lavoro. Il gioco si basa sull’illusione che quello che fai non sia serio né reale, sebbene poi sia esattamente l’opposto. Questo ti regala un’enorme libertà di azione e di pensiero.
F. G. A.: È grazie al gioco che da bambini si scopre il mondo, il funzionamento della società, e si misurano le distanze dagli altri. Il gioco è una delle possibilità per affrontare la complessità del reale.
M. S.: E il gioco, indissolubilmente legato all’infanzia, è l’unico vero momento di libertà nelle nostre vite occidentali compassate. Quando (quasi) tutto era concesso senza onerose sovrastrutture. Franca funziona come un grande tana libera tutti!
A vostro parere, da cosa deve affrancarsi, oggi, l’arte?
A. C.: Dalla compiacenza. È molto facile lasciarsi portare a spasso dai desideri degli altri, mentre le cose veramente interessanti nascono dentro.
F. G. A.: Da tantissime cose e da nessuna. Penso l’importante per un artista sia riuscire sempre a trovare momenti di gioco, appunto, in cui poter affrontare il mondo con leggerezza (ovviamente calviniana). Alla fine la cosa che conta è il lavoro, è il lavoro che rimane. La Festa Franca per me nasce anche dalla necessità di condividere esperienza con altri artisti, per non sentirmi solo.
M. S.: Dovrebbe affrancarsi dai cliché polverosi, dall’abitudine indolente, dalle gerarchie cristallizzate, dal pensiero che l’arte sia solo un eccesso e non possa produrre di per sé economia. Non si deve affrancare invece dal sistema, come saremmo portati a pensare. Quello è vitale quando in buona salute, quando l’artista produce, la galleria espone, il collezionista acquista, il museo musealizza, il critico traduce, il curatore cura, il giornalista racconta (parafrasando Achille Bonito Oliva), quando ognuno compie con responsabilità il proprio lavoro.
State già immaginando i futuri sviluppi di Festa Franca?
A. C.: Vorremmo che Festa Franca diventasse un appuntamento annuale. Il tema rimarrà lo stesso, ovvero quello del gioco, per prenderci il tempo di accumulare esperienze e testi. I contributi dei curatori invitati di quest’anno andranno a costituire idealmente il primo pezzo di una biblioteca sul gioco che si amplierà negli anni. Non mi spaventa la ripetizione, anzi, sarei felice se la Festa Franca diventasse un’abitudine.
F. G. A.: Per il resto Franca continuerà a essere il nostro studio e un luogo dove ospitare anche artisti che hanno bisogno di uno spazio grande per produrre un lavoro. Stiamo pensando inoltre a workshop e forse a una tre giorni di performance per la prossima primavera, e a mostre di altri artisti con cadenza irregolare.
M. S.: Festa Franca si autoalimenta in maniera quasi prodigiosa. Ognuno di noi ha messo a disposizione le proprie competenze e le proprie abilità. Con risorse esigue siamo riusciti a raccogliere l’attenzione di artisti eccezionali che si sono messi in gioco insieme a noi, e di curatori straordinari che hanno compreso all’istante il potenziale ricchissimo di questo magico campo di forze. Ora attendiamo la partecipazione del pubblico! Il futuro non può che essere roseo, tenendo fede alla qualità dei contenuti, cardine imprescindibile dell’iniziativa.
‒ Arianna Testino
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