Nei Paesi anglosassoni nessuno, ma proprio nessuno affronterebbe la faccenda come sto per fare ora. Per questo metto innanzi le mie credenziali. Due dei miei tre figli vivono e lavorano in questi Paesi. Due dei miei tre figli hanno una fidanzata nera. Spero presto di avere nipotini caffelatte.
Detto questo veniamo al dunque. Il numero di settembre di Vogue America, il più panciuto dell’anno (grazie alle pagine pubblicitarie che in questa occasione vengono raccolte più che in qualsiasi altro mese), porta in copertina una superlativa Beyoncé ritratta da Tyler Mitchell, il primo fotografo afroamericano a scattare una cover per Vogue. Il testo che correda il servizio è opera di Clover Hope, nera anche lei. Il numero di settembre di Glamour Usa esibisce in copertina la bellissima Tiffany Haddish. Il numero di settembre di Vogue UK porta una strabiliante Rihanna.
“Non sarà che il target dei possibili consumatori di questo settore è in potente trasformazione?”.
Negli ultimi dieci anni, per il numero di settembre, dieci delle principali riviste internazionali di moda hanno scelto donne nere il 26% delle volte. Ma in questo settembre 2018 le apparizioni sono diventate il 50%.
Né Vogue Italia né Vogue Paris hanno mai avuto una copertina dedicata a una sola modella black sul numero di settembre nell’ultimo decennio. Su Vogue Italia è apparsa nel 2014 Naomi Campbell, che ha però condiviso lo spazio con Natalia Vodianova, Stella Tennant, Christy Turlington e Linda Evangelista. C’è stata anche una cover con Bella Hadid, che è un po’ palestinese e un po’ olandese.
Ora però non solo di copertine si parla, perché alle redini di Vogue UK la casa madre (Condé Nast Usa) ha appena insediato Edward Enninful, nero, gay (ma questo non fa più notizia da decenni in questo settore dove i gay sono un settore di mercato straordinariamente appetibile), redattore di moda amatissimo dalla immarcescibile 69enne direttrice editoriale Anna Wintour.
“Negli ultimi dieci anni, per il numero di settembre, dieci delle principali riviste internazionali di moda hanno scelto donne nere il 26% delle volte. Ma in questo settembre 2018 le apparizioni sono diventate il 50%”.
Che sta accadendo? C’è da riflettere e io una riflessione l’ho fatta: magari non è tanto politically correct, ma provo ad azzardare. La famiglia Newhouse, che detiene dal 1909 la proprietà di tutti i Vogue del mondo, è senza dubbio una famiglia di liberal. Ma terribilmente attenti al business: questo lo so con certezza per avere lavorato due decenni alle loro dipendenze. Vi posso assicurare che il trasporto per le minoranze non sarebbe sufficiente a fargli compiere mosse azzardate.
E allora azzardo io. Non sarà che il target dei possibili consumatori di questo settore è in potente trasformazione? Condé Nast, come del resto tutti gli editori tradizionali, naviga da anni in acque perigliose e sta bene attenta a quel che fa.
Non sarà dunque che questi formidabili editori stanno fiutando che il gruppo di consumatori bianchi di fascia compresa tra i 18 e i 50 anni per i marchi del fashion di alta gamma non sono più così appetibili – e viceversa? Meglio, molto meglio guardare ai nuovi e crescenti “crazy rich Asian”, come ha fatto intendere Tom Ford durante l’ultima sfilata in apertura della Fashion Week di New York? O allo stile un po’ Kardashian un po’ hypebeast, come sembrano indicare le ultime mosse di Condé Nast. Per tutto il sistema tradizionale del fashion, del resto, la parola d’ordine è sempre stata rinnovarsi o morire. E questo vale ora più che mai
‒ Aldo Premoli
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