Alla scoperta della Casa dei Simboli, dimora dell’artista pastora Bonaria Manca a Tuscania
Nata nel 1925 in Sardegna e trasferitasi nelle campagne viterbesi negli anni Cinquanta, l’artista outsider scoperta per caso da un cineasta francese ha trasformato il suo casolare in un regno di visioni, figure e racconti immortalati su pareti, mosaici e tele…
Quella di Bonaria Manca è una storia di dolore ma anche di liberazione, un percorso di vita che a un certo punto si sublima in arte, quest’ultima intesa come dimensione in cui essere se stessi, guarire, rigenerarsi, tramutare le ferite in bellezza. Quella di Bonaria è la storia di un’artista outsider: autodidatta, lontana dai riflettori dell’art system e segnata da un’esistenza difficile, la pastora nata in Sardegna nel 1925 si approccia per la prima volta all’arte all’età di 55 anni, quasi per caso, forse per vocazione, sicuramente per necessità. Il luogo in cui sono custodite le sue creazioni è la sua casa a Tuscania, una sorta di tempio in cui l’immaginazione di Bonaria ha dato vita a visioni, ricordi ed emozioni, attraverso mosaici e pitture che negli anni hanno trasformato il suo casolare di campagna in museo. Un luogo magico che oggi è in balia dell’azione del tempo: infiltrazioni, guasti alle tubature e un obsoleto impianto elettrico insidiano le opere custodite all’interno della casa, e le condizioni di salute di Bonaria non giovano a questa situazione di stallo che pone molti interrogativi sul futuro del casolare che, secondo il desiderio dell’artista, dovrebbe diventare una casa museo.
RINASCERE NELL’ARTE
Dodicesima di tredici figli, Bonaria Manca nasce in Sardegna 93 anni fa, e nel corso della sua vita si dedica interamente alla famiglia, alla pastorizia, ai lavori domestici e ai campi, con spirito di abnegazione e di obbedienza. Nel 1951 si trasferisce insieme ai fratelli nella provincia di Viterbo, dove la famiglia di Bonaria gestisce alcuni terreni. All’età di 46 anni si sposa, ma negli anni Ottanta il suo matrimonio fallisce. Rimasta così completamente sola – intanto aveva perduto la madre e il fratello –, Bonaria a 55 anni intraprende la sua nuova vita: “il fatto di non essere più legata alla famiglia di origine e al marito, quindi questa condizione di libertà, l’ha portata all’arte”, racconta ad Artribune Paola Manca, nipote di Bonaria. “Per lei è stata come una rinascita, fino a quel momento era stata legata a una vita che probabilmente non le piaceva, sebbene non si fosse mai ribellata. Una volta rimasta sola, ha iniziato a creare, e penso che l’arte sia stata per mia zia quasi una cura, si è psicanalizzata e curata attraverso la pittura”.Da classica donna sarda, Bonaria conosce l’arte del cucito: “se so ricamare, saprò anche dipingere”, si è detta all’età di 55 anni, quando ha realizzato la sua prima opera, un dipinto su seta. “Rappresenta il paesaggio di Tuscania”, continua Paola, “la sua casa e il ponte vicino, il fratello a cavallo”.
LE OPERE DI BONARIA
Tele, mosaici, pitture parietali realizzate con colori a olio, a tempera e gessetti: la casa di Bonaria, la “Casa dei Simboli”, è un pullulare di figure, narrazioni visive, ricordi. “I filoni rappresentativi individuati sono tre”, ci spiega Paola. “Quello religioso, con processioni, il Battesimo di Cristo e una Natività che Bonaria ha realizzato nella sua camera da letto; il filone etrusco, con dipinti di divinità pagane che si ricollegano alla storia degli Etruschi. Sebbene non ne abbia mai viste rappresentate, Bonaria ha realizzato un dipinto in cui una divinità femminile che tiene in mano una civetta (figura che ricorda Minerva) sovrasta colle San Pietro a Tuscania, in passato sede dell’acropoli etrusca”.Visioni spontanee, coincidenze e intuizioni che prendono forma quasi inspiegabilmente, alle quali si accompagnano le reminiscenze della vita trascorsa in Sardegna: il terzo filone rappresentativo è infatti dedicato alla sua infanzia sull’isola, con dipinti in cui Bonaria immortala scene di vita quotidiana in cui è presente anche il padre.
DALLA SCOPERTA ALL’OBLIO
A scoprire l’opera di Bonaria è lo scrittore e cineasta francese Jean-Marie Drot, direttore dal 1985 al 1994 dell’Accademia di Francia a Roma. L’incontro avviene per caso: Drot incontra l’artista durante una passeggiata nelle campagne etrusche alla fine degli anni Ottanta, rimanendo colpito della sua arte e decidendo di acquistare numerosi dipinti che fanno ancora parte della sua collezione d’arte naïve. Partono una serie di mostre nazionali ed estere, e oggi una sala del Musée Dr Guislain a Gand in Belgio è interamente dedicata a Bonaria. Ma l’aggravarsi delle condizioni di salute dell’artista e soprattutto la scelta di continuare a vivere un’esistenza lontana dai riflettori dello star system, portano Manca a essere dimenticata. Nel 2014 viene istituita un’associazione composta da un gruppo di amatori e mecenati che provvede a sostenere economicamente Bonaria, ma rimane urgente il problema della salvaguardia delle sue opere. Dallo scorso febbraio, 5 mosaici e 3 tele si trovano nei laboratori dell’Università della Tuscia nell’ambito di un progetto mirato al recupero dei lavori di Bonaria, ma la mancanza di fondi non consente di proseguire gli interventi. “La situazione è precaria”, conclude Paola, “la casa necessità di interventi urgenti, si corre il rischio di perdere le opere, soprattutto i dipinti sulle pareti. Si è pensato a un crowfunding, ma la somma necessaria per portare avanti i lavori è notevole e non credo possa essere un obiettivo raggiungibile”. Intanto la casa di Bonaria è chiusa, in attesa di conoscere il suo futuro e di aprire nuovamente le porte a tutti quei visitatori che arrivano a Tuscania per conoscere l’artista pastora.
– Desirée Maida
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