Alessandro Algardi – Impronte del pensiero
In occasione della mostra intitolata “Impronte del pensiero”, l’artista Alessandro Algardi riassume la sua ricerca, coerente ma sempre aggiornata, attraverso un corpus di opere: dalle tele bianche tessute con testi “illeggibili”, passando ai lavori realizzati con la grafite su carta, fino alle opere su plexiglas presentate per la prima volta in Italia dalla Galleria Clivio lo scorso marzo.
Comunicato stampa
In occasione della mostra intitolata “Impronte del pensiero”, l’artista Alessandro Algardi riassume la sua ricerca, coerente ma sempre aggiornata, attraverso un corpus di opere: dalle tele bianche tessute con testi “illeggibili”, passando ai lavori realizzati con la grafite su carta, fino alle opere su plexiglas presentate per la prima volta in Italia dalla Galleria Clivio lo scorso marzo.
Come sottolinea Francesco Tedeschi, curatore del saggio critico presente nel catalogo stampato da Adriano Parise Editore, “L’installazione di una mostra diventa una nuova fotografia del luogo, che non ne modifica la struttura o la realtà, ma che, agendo sulla percezione di esso e costituendone una forma di interpretazione, vi aggiunge un ulteriore strato di senso. Con questo spirito e con questa responsabilità, chi si appresta a collocare delle opere nelle stanze di una residenza come Palazzo Ducale di Sabbioneta, si trova a misurare il proprio lavoro, per le sue ragioni e nella sua qualità immediata, con la complessa e in parte nascosta storia di un monumento vivo nella sua condizione attuale e futura, per andare ad abitarlo per quell’indefinito tempo in cui un ambiente vive nella dimensione interiore di chi lo ha attraversato”.
“L’opera di Alessandro Algardi riguarda la capacità di attraversare il Tempo, la progettualità nella sua essenza e l’impatto gestuale che ha su chi guarda e legge lo spazio come tempo vissuto. La sua ricerca espressiva concettualmente progettuale, significativa di un qualcosa che accade a partire dall’idea stessa di scrittura in quanto gesto corrispondente ad un linguaggio codificato”, così i curatori Anna Vergine e Gabriele Fallini definiscono ulteriormente nel loro saggio critico presente in catalogo, il lavoro dell’artista.
Alessandro Algardi si inserisce fin dalle prime sperimentazioni visuali degli anni ’70 nell’universo della parola, della scrittura e della grafia come forme di esplorazione e sondaggio di quella parte di pensiero che non si risolve nel significato delle parole del testo (anche se da esse partono) ma lo oltrepassa lasciando le tracce di ciò che non può trovare risposta se non negli occhi, e attraverso di essi, negli animi di chi si trova a “leggere” le sue opere. Ancora Tedeschi scrive: “Per avvicinare le opere è necessario quindi porre attenzione ai singoli elementi del sistema chi ha dato vita sul piano visivo, a cominciare appunto dal valore del segno. Nel suo infittirsi, il segno diventa trama, che si è fatta molto evidente nel corso degli anni, conquistando un valore iconico immediato. La sua logica si fonda sulla continuità, come appunto quella sequenza di righe che vanno a formare il contenuto di una pagina scritta”.