Istinto e danza. Il coreografo Sidi Larbi Cherkaoui a Torino

Aria e terra. Leggerezza e pesantezza. Muove su questi binomi il doppio spettacolo “Noetic/Icon” del coreografo belga-marocchino Sidi Larbi Cherkaoui, che ha debuttato al Teatro Regio di Torino, in prima italiana, per il festival Torinodanza.

“Nulla nel mondo fisico si muove in linea retta”. Partendo da questo principio del matematico Randy Powell, Sidi Larbi Cherkaoui, l’apolide artista belga di origini marocchine, con Noetic, titolo riferito alla parola greca “noesis” che implica “conoscere attraverso l’intuizione”, crea un mondo in continua mutazione. Sul palcoscenico bianco chiuso da tre pareti, con tutti i danzatori in elegante abito nero, giacca e cravatta, tailleur e corpetto attillati, e su tacchi a spillo anche due uomini, si compone un universo di relazioni prima con i soli interpreti che sciamano elegantemente in coppie, in quartetti e in masse, tra contorsioni, citazioni classiche, posture contemporanee e break, schierati frontalmente in una lunga linea e in gruppi compositi, tra assoli, continue entrate e uscite, che regolano e scompongono i loro legami; poi, con l’utilizzo di lunghe stecche flessibili in lega di carbonio – opera dell’artista visivo Antony Gormley, suo storico collaboratore – mosse dagli stessi interpreti, per dar vita a infinite figurazioni. Posizionate a terra, le aste dapprima delimitano degli spazi quadrati ed esagonali abitandoli internamente; quindi agitate, intrecciate, attorcigliate, alzate, creano linee e curve nell’aria, forme plastiche simili a pergolati, fiori, onde, sfere, barriere, giunchi, tunnel, atomi, molecole, per finire con un enorme globo alzato e deposto a terra dentro il quale rimane un uomo solo che, alzando la mano, conta con le dita mentre si spengono le luci.

PAROLA AL COREOGRAFO

In questa pièce” – ha dichiarato il coreografo fiammingo – “ho lavorato sulle nostre interconnessioni più intime, sulla conoscenza che ci mette in relazione con l’istinto, che ne determina causa ed effetto”. Ma non è solamente la suggestione visiva e immaginifica a rivelare la bellezza di Noetic, prima esperienza di Sidi Larbi con la splendida compagnia svedese del Göteborg Operans Danskompani. È soprattutto la coreografia, per le sue dinamiche polifoniche di gesti, di movimenti geometrici di braccia e vibrazioni esplosive, matematiche, dei corpi, a tratti accompagnati dalla voce, da flussi di parole, di concetti scientifici o filosofici, secondo una modalità ormai consueta di Cherkaoui, in cui la musica determina atmosfere e sequenze. E l’avvio è dato da un percussionista di taiko, il tamburo giapponese, seguìto, nel mezzo, dall’entrata di una cantante, e, per il resto, da un avvolgente flusso melodico di diverse sonorità.

Sidi Larbi Cherkaoui, Icon. Photo © Mats Bäcker

Sidi Larbi Cherkaoui, Icon. Photo © Mats Bäcker

ICON

Se l’acqua, la terra, le foglie, i garofani, i mattoni sono tra quegli elementi materici finora visti sul palcoscenico, usati in maniera drammaturgica e spettacolare da coreografi di diversa matrice stilistica – una per tutti, Pina Bausch con la sua memorabile terrigna Sacre, poi Nelken, Palermo Palermo, Vollmond –, nell’elenco mancava la creta, materia malleabile più di altre, come i corpi, e finora inimmaginabile il suo uso. A darle un’inedita dignità artistica, per esplorare il concetto di iconoclastia, è Sidi Larbi (insieme allo scultore e co-creatore Antony Gormley e al costumista Jan-Jan Van Essche), che in Icon la modella con e sui danzatori, facendone, prevalentemente, oggetto drammaturgico prima che estetico. Partendo da una riflessione sul tempo e sul come l’uomo tenda da sempre a fabbricare degli idoli investendoli di forza e di potere, per dopo distruggerli e ricominciare, crea una sorta di campo di battaglia dove, in una mutazione costante, si edifica e si demolisce, si lotta e si ama. Lastricata su gran parte del palcoscenico, l’argilla – ben tre tonnellate! – viene via via strappata, mossa, composta, sgretolata, rimodellata, per moltiplicarsi e assumere fattezze di elmi, maschere, corazze, corone, totem, organi sessuali, oggetti di gioco, di violenza. I danzatori, evocando rituali ancestrali e moderni, la manipolano sui loro corpi vivaci o ricurvi, simulando giovinezza e vecchiaia, vitalità e fatica, diventando loro stessi sculture viventi.
Da movimenti liquidi e rotatori di tutto l’ensemble in lunghe tuniche poi col petto scoperto, legati inizialmente dall’ondeggiare delle braccia, i danzatori – sempre del Teatro dell’Opera di Göteborg inclusi cinque della compagnia Eastman di Cherkaoui – rotolano, si sporcano, si abbracciano, giocano, si lapidano, si difendono, componendosi in piccoli gruppi, quindi in uscite solitarie o di coppia, per poi ritornare in un unico coro con movimenti scomposti, grezzi, poi ampi, veloci, compulsivi, acrobatici come l’hip hop, infine pacati quando modellano, con la creta, una gigantesca figura umana sdraiata, poi rannicchiata sulle gambe, fissandola come un idolo. E modellandosi in quella posa si pietrificano tutti loro. Artista epico, alla guida di una compagnia cosmopolita con la quale è da sempre dedito al multiculturalismo, all’esplorazione delle molteplici discipline e tradizioni, alle contaminazioni dei patrimoni culturali – qui la musica, eseguita dal vivo è un’affascinante partitura di arrangiamenti che mescolano sonorità orientali, antiche ballate francesi, canti della tradizione siciliana, calabrese e abruzzese –, Cherkaoui continua così, anche con Icon, a raccontare e sondare i misteri dell’anima e del corpo. Ma l’effetto complessivo, forse per l’ingombrante presenza materica e l’accumulo di sequenze, risulta un po’ confuso e distante. Non arriva al cuore.

Giuseppe Distefano

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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