Quando la Street Art è donna. Intervista a Gio Pistone

Parola alla street artist Gio Pistone, amante del disegno e capace di tradurre in linee e colori il proprio universo onirico.

Cos’è per te la Street Art?
Per spiegare cosa rappresenti per me la Street Art in questo momento ho bisogno di fare un passo indietro.
Cito Francesca Alinovi, teorica dell’arte di frontiera, che con queste parole descriveva negli Anni Ottanta un fenomeno artistico nuovo denominato Writing, riuscendo a sintetizzare la sua potenza, il suo valore e la denuncia sociale che sprigionava.
L’attuale arte d’avanguardia, più che sotterranea, è arte di frontiera; sia perché sorge, letteralmente, lungo le zone situate ai margini geografici di Manhattan, sia perché, anche metaforicamente, si pone entro uno spazio intermedio tra cultura e natura, massa ed élite, bianco e nero (alludo al colore della pelle), aggressività e ironia, immondizie e raffinatezze squisite. Questi artisti sono simultaneamente ‘penne nere e visi pallidi’, e sono i nuovi kids di New York”. (F. Alinovi,1981).
Writing, letteralmente scrittura, è una forma di espressione, un linguaggio artistico che conta circa sessant’anni di storia. Appare tra la fine degli Anni Sessanta e i primi Anni Settanta in città come Philadelphia e New York, diffondendosi rapidamente in varietà di percorsi di ricerca artistica. Questi segni, chiamati “graffiti”, hanno tappezzato ogni angolo del globo divenendo un veicolo di comunicazione, spesso incomprensibile al di fuori della comunità e del gruppo di appartenenza.

Le origini della Street Art, dunque.
La Street Art che siamo abituati a vedere oggi proviene da un lato da quella forte spinta dall’altro da quella passione innata dell’uomo di modificare il luogo che abita, caverne preistoriche, muri, grottesche, in questo caso la città.
Ovviamente la Street Art che pullula ovunque in questi ultimi anni ha perso molto della prima spinta, anzi diciamo che l’ha persa del tutto. Non è più una controcultura, non è libera, non ha nulla a che fare con quello che ha rappresentato il graffitismo come grido di rivolta e conflitto sociale. È una moda fragile e “da guardare” e come tale sta spopolando.
Le viene attribuita una valenza riqualificativa alquanto ridicola e va avanti così.
Nell’estetica ripesca continuamente nel gran calderone della storia dell’arte, attingendo dall’Espressionismo, Impressionismo, Astrattismo, fumetto, illustrazione etc. etc. e dall’attivismo artistico degli Anni Settanta-Ottanta. Con questo non voglio dire che non esistano artisti all’interno di questa ultima ondata di arte sui muri, ma il termine Street Art si è svuotato completamente del suo primo significato di libertà e la città è diventata oramai un foglio di grandi dimensioni su cui replicare i disegni del proprio sketchbook.

Gio Pistone, L'oracolo del sud, 2013. Roma, CSOA Snia. Photo Jessica Stewart

Gio Pistone, L’oracolo del sud, 2013. Roma, CSOA Snia. Photo Jessica Stewart

Che cos’è per te un muro?
Di solito, quando mi trovo ad affrontare un lavoro di muralismo, non considero esclusivamente la parete. Se ho la possibilità di scegliere (casi rari), preferisco ambienti o angoli che in qualche modo mi affascinano o per la forma degli edifici o per lo scorcio e pensarli come qualcos’altro. Ciò che mi interessa maggiormente nel mio lavoro è provocare un cambiamento di un luogo, non semplicemente disegnare un muro, perché credo che questo meccanismo dia nuova vita e crei un momento di spaesamento in coloro che lo attraversano abitualmente e in qualche modo li porti a pensare in modo diverso.
Quello che cerco di comunicare è sempre qualcosa di positivo, non voglio appesantire con invettive o immagini forti la vita già complessa di chi abita un luogo difficile come la città. Sono attenta.

Quali sono, a tuo avviso, i momenti creativi nell’ordinario, nella vita di tutti i giorni?
Non ne ho, in pratica mi trovo a disegnare sempre, ho vari libretti a fogli bianchi e una matita con le mine sempre con me.

Salvador Dalí una volta dichiarò: “Il pittore non è colui che è ispirato ma colui che riesce a ispirare gli altri“. Sei d’accordo?
Salvador Dalí era un egocentrico e questa mi sembra proprio la frase di un uomo che ha posto la propria immagine al centro della sua arte. La penso proprio al contrario e credo che sia per giunta controproducente. Per quanto mi riguarda potrei anche scomparire, mi interessa poco parlare di me e della mia vita privata, anche se ovviamente lo faccio quotidianamente nei miei disegni, ma per fortuna il mio stile è abbastanza criptico e questo livello non si percepisce. La mania voyeurista di comprendere l’arte attraverso l’artista non mi è mai piaciuta e trovo che sia al suo massimo storico oggi con l’avvento dei social, mondo in cui chiunque può trattare la propria immagine come fosse una star di Hollywood.
Un film di David Lynch è bello anche senza sapere chi sia lui, a prescindere; che poi possa essere interessante conoscerlo è un altro discorso. La potenza con cui comunica riesce ad arrivare nel profondo e farci vivere la sua visione di realtà, mostrandoci la nostra sotto un’altra luce anche solo per pochi attimi, è una sorta di possessione momentanea.
L’Arte ci salva la vita, nel vero senso della parola, che sia musica, teatro, cinema, poesia.
È la cosa più potente che abbiamo.

Gio Pistone, In Gioco (particolare), 2017. Pinerolo. Photo Riccardo Colombo

Gio Pistone, In Gioco (particolare), 2017. Pinerolo. Photo Riccardo Colombo

Desideri e aspirazioni: già da bambina sognavi di diventare un’artista?
Assolutamente no, volevo diventare orologiaia, ma avevo scelto il disegno come secondo linguaggio. Ora come allora disegno esseri al limite con l’astratto, molto colorati, che continuo a prendere dai miei sogni e visioni diurne.  Questo è un meccanismo che ha innescato, quando ero molto piccola, mia madre, che al tempo era una giovane studentessa di psicologia e poiché mi svegliavo spaventata e piangente per aver sognato mostri, mi incitò a disegnare ciò che sognavo, a dare un volto alle mie paure e in questo modo le vinsi, ma ancora mi ispirano.

Come nascono i tuoi soggetti?
Non lo so. Parlare della genesi dei miei disegni è impossibile e credo dipenda dal fatto che disegno da quando ero molto piccola. Questo gesto non è un gesto appreso o educato da adulta, è come un dialogo solitario con la mia fantasia, dunque eseguo quello che viene, semplicemente come camminare.

Un’opera a cui sei particolarmente legata.
Sono legata a tutte le mie opere, mi sento legatissima, infatti il lato commerciale è stato ed è sempre un dramma. Per quanto riguarda il muro, che dal principio so che dovrò abbandonare, potrebbe essere Teatro Libero del sogno lucido, una installazione permanente realizzata a Cosenza, durante la residenza nei BoCs Art curata da Alberto Dambruoso. Il mio lavoro è stato la trasformazione di un luogo da rudere inutilizzato a teatro inventato e aperto a tutti per la particolare forma del rudere.  Il teatro è stato inaugurato il 2 ottobre 2015 con un’esibizione del musicista giapponese Shingo Inao, anche lui in residenza.

Gio Pistone, Su Malloru, 2016. Ussana, Campi d'Arte

Gio Pistone, Su Malloru, 2016. Ussana, Campidarte

Un sogno che non hai ancora realizzato e che vorresti realizzare.
Un mio grande desiderio è quello di eseguire un progetto per una grande scultura in una piazza. Ho avuto già un’esperienza del genere in Sardegna, dove ho costruito con l’aiuto di due collaboratori preziosissimi la mia prima scultura in cemento alta quattro metri, che si trova nel parco sculture di Campidarte, un luogo dove si fanno residenze e realizzano sogni.

La bellezza salverà il mondo“. Se sì, quando accadrà?
C’è ancora un gran cammino; in questo momento sostituirei la parola bellezza con un’altra, rispetto.

Cosa viene fatto dalle istituzioni e dalle imprese oggi e cosa potrebbe essere fatto di più, nell’ambito della Street Art, secondo te?
Oggi questo tipo di arte è per lo più nelle mani di gallerie, di ditte; i primi brand di moda o industrie piccole e grandi hanno cominciato ad affidare la propria pubblicità, la propria immagine ad artisti visivi legati al mondo della Street Art, finanziando grandi muri dipinti come cartelli pubblicitari. Questo momento è importante perché definirà ulteriormente le fragili fila di questo ex movimento verso un futuro totalmente commerciale oppure chissà, staremo a vedere.

Gio Pistone, In Gioco, 2017. Pinerolo. Photo Riccardo Colombo

Gio Pistone, In Gioco, 2017. Pinerolo. Photo Riccardo Colombo

A cosa ti riferisci?
Rifletto tristemente sul fatto che spesso il denaro vince molto facilmente sul resto.
Nel muralismo c’è chi segue una propria strada evitando multinazionali e pubblicità e vedo in questo modus operandi forse l’unico possibile futuro di questa oramai abbastanza vuota tendenza di massa. Le istituzioni dovrebbero cominciare a utilizzare il muralismo non in nome della frettolosa riqualificazione delle periferie, ma come un’arte urbana ormai consolidata che ha bisogno di essere considerata tale. Per progettare una piazza o un intervento artistico urbano ci vogliono mesi se non anni di progetti e preventivi, come mai per un intervento di muralismo solo cinque giorni?

Progetti per il tuo futuro?
Ho in mente una grande mostra, forse tra un anno, grande perché sto studiando molto dettagliatamente il concetto da esprimere e mi piacerebbe avere la possibilità di dargli tutta la mia forza espressiva in questo momento storico in cui c’è poca libertà e disprezzo per le minoranze. Nel frattempo preparo una mostra personale a Livorno per novembre, con la quale inizio già a trattare il tema ma solo accennandolo.

Alessia Tommasini

www.giopistone.it

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Alessia Tommasini

Alessia Tommasini

Sono veneta di nascita, ho abitato per anni a Roma e ora a Firenze. Mi sono laureata in Filosofia a Padova e subito ho cominciato a muovere le mie prime esperienze nel campo della creatività e dell'arte, formandomi come editor,…

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