Cesare De Michelis. Il ricordo di Cristiano Seganfreddo
Scomparso all’inizio di agosto, Cesare De Michelis ha lasciato un segno indelebile nel tessuto culturale veneziano. E non solo.
“Se mi siedo lì, poi non mi rialzo più”. Il sorriso correva aperto sotto gli occhi, che si illuminavano di continuo. Mai stanchi di giocare, di stupirsi, di pensare, di guardare. Di interrogare la realtà e chi aveva di fronte. Di capire. “Non mi rialzo più”, riprese con un altro sorriso. Si riferiva all’improbabile azione di sedersi sulla seggiola da bimbo, di quelle in compensato chiaro, lasciata all’ombra calda dei primi di agosto, vicino a noi. Ci lasciammo dopo un’ora di profonda intensità, fragile e delicata. Che aveva pause e sguardi lunghi, come le ore calde del pomeriggio di Cortina d’Ampezzo. “Venezia non è fragile, non lo è mai stata. È fragile una città sull’acqua che ha mille anni?”.
“Cesare era un maestro. Vero. Gentile e poetico, come nessuno”.
E così, veloce, lucido e implacabile, con la fine della Prima Repubblica e i servizi segreti, la crisi sovietica e la vendita dei segreti di Stato, gli Anni Sessanta, gli americani, l’amatissimo Aldo Manuzio, la mostra Homo Faber alla Cini, la nuova idea di fare, arte e artigianato, le mostre del Museo del Novecento e Palazzo Reale, la Biennale di Venezia, Milano e l’addio all’idea di Nordest, l’immutabilità mutabile della politica, lo svantaggio irrecuperabile italiano, la distribuzione internazionale, l’avventura newyorchese di Marsilio, le relazioni con RCS, la Feltrinelli, Luca ed Emanuela, Eco, i suoi scritti per editori introvabili e impossibili, quello futuro, qualche nuovo autore, i divorzi con gli autori, fare l’editore e la diffusione, il ruolo dell’intellettuale e dell’imprenditore, la nuova misura delle cose, la retorica connessa alle cose, le Zanze a Venezia, e la Marittima, nuova e sempre uguale… Un’ora, quel pomeriggio a Cortina.
Cesare De Michelis non era solo “il Professore”, l’editore italiano, i suoi 6.500 libri stampati, le decine di migliaia di volumi di autori italiani, Venezia, i nuovi autori scoperti, le mostre, le visioni, le profezie, le lezioni, le conferenze, la politica e tutto l’inutile blablabla che ci possiamo attaccare. E che adesso ci scriviamo sopra. Cesare era un maestro. Vero. Gentile e poetico, come nessuno. “Hai anche tu la barba grigia, ormai”, mi disse, mentre ci salutavamo per l’ultima volta. Grazie Cesare, addio Cesare.
‒ Cristiano Seganfreddo
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #45
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