Equilibrium. Un’idea per la scultura italiana
La mostra è il primo appuntamento dopo l’ampliamento della galleria, che arriva quasi a raddoppiare gli spazi della storica sede nel centro di Torino, in Piazza Solferino 2.
Comunicato stampa
Mazzoleni è lieta di presentare Equilibrium. Un’idea per la scultura italiana a cura di Giorgio Verzotti. La mostra è il primo appuntamento dopo l’ampliamento della galleria, che arriva quasi a raddoppiare gli spazi della storica sede nel centro di Torino, in Piazza Solferino 2.
Il progetto espositivo indaga una delle costanti della scultura italiana che attraverso il superamento del tutto tondo si apre, letteralmente, allo spazio.
Se un punto di partenza di questa indagine risale alle ricerche futuriste, è nella linea che va da Fausto Melotti a Luciano Fabro e a Hideoshi Nagasawa fino ai più giovani Gianni Caravaggio, Alice Cattaneo, Sergio Limonta, Filippo Manzini, che si radicalizza la scelta di sottrarre corpo all’opera scultorea, per farla interagire con l’ambiente in cui viene esposta. Lo spazio infatti diviene elemento significante al punto da modificare l’assetto e la percezione dell’opera stessa.
Un procedere “in negativo” che si verifica anche in campi diversi dalla scultura vera e propria, a partire dalle ricerche di ambito cinetico o analitico, da certi esiti dell’Arte Povera fino a quelle più recenti. Si giunge così a creare una dimensione quasi indecidibile dell’opera, in bilico fra diversi statuti: pittura, scultura, bassorilievo, installazione ma anche fotografia o elemento sonoro. Va in questo senso il lavoro di maestri come Vincenzo Agnetti, Getulio Alviani e Giovanni Anselmo, ma per percorsi diversi arrivano a simili sintesi di senso anche Paolo Cotani, Nunzio, Giuseppe Maraniello fino a Luca Trevisani e Shigeru Saito, esponenti delle tendenze più recenti.
Ciascun artista giunge ad una situazione di equilibrio fra gli elementi che fisicamente compongono il lavoro: in questo modo la fragilità, che spesso diventa il minimo comune denominatore di queste ricerche, per esempio in Elisabetta Di Maggio, trova una forza capace di conferire stabilità.
Sul fronte opposto, il peso di materiali tradizionali come marmo, pietra o i metalli - adottati per esempio da Remo Salvadori - trova una effettiva leggerezza nell’equilibrio fra le spinte e controspinte su cui l’opera è costruita, a volte su nessi davvero precari, permutabili, mai definitivi.
La mostra è accompagnata da un catalogo in italiano e inglese e include un saggio di Giorgio Verzotti.