MAXXI Bvlgari Prize, Diego Marcon vince il premio con l’opera Ludwig
L’artista originario di Busto Arsizio si è aggiudicato il premio con un’opera video che mette insieme “il linguaggio analogico e digitale” e che sa “interpretare con grande efficacia lo spirito contraddittorio della nostra epoca”
È stata la giuria internazionale composta da David Elliott, curatore indipendente, Yuko Hasegawa, Direttore artistico del MOT di Tokyo, Hans Ulrich Obrist, Direttore Artistico della Serpentine Galleries di Londra, Hou Hanru, Direttore artistico del MAXXI, e Bartolomeo Pietromarchi, Direttore del MAXXI Arte, a decretare questa sera Diego Marcon (1985) vincitore del MAXXI BVLGARI PRIZE. A premiare l’artista originario di Busto Arsizio, la cui opera entra quindi a far parte della Collezione del MAXXI Arte, è stato il regista Premio Oscar Giuseppe Tornatore, Presidente del Comitato d’Onore del progetto, con la motivazione: “per la sintesi originale tra linguaggio analogico e digitale, per la capacità di interpretare con grande efficacia lo spirito contraddittorio della nostra epoca attraverso frammenti della tradizione musicale e artistica del passato, per il modo poetico ed evocativo di coniugare alla dimensione esistenziale quella globale”. Oltre a Marcon, gli altri finalisti del Premio – Talia Chetrit (1982) e Invernomuto (Simone Bertuzzi, 1983 e Simone Trabucchi, 1982) – erano stati annunciati a Londra al Bvlgari Hotel durante la settimana della Frieze Art Fair.
IL PREMIO
“Già il fatto che siamo partiti non solo per una edizione ma per più edizioni, suggerisce che ci crediamo molto”, ha commenta così Christophe Babin, Amministratore Delegato del Gruppo Bvlgari, la collaborazione con il MAXXI. “A distanza di sei mesi da quando abbiamo nominato i finalisti, abbiamo potuto misurare l’impatto positivo nel mondo artistico dell’impegno di Bvlgari, perché eravamo più conosciuti per i nostri impegni nel restaurare la gloria passata, come Trinità dei Monti e Caracalla, ma un po’ meno per il nostro supporto attivo all’arte contemporanea. È stato già un buon risultato per l’immagine di Bvlgari: non solo rivolta al passato ma anche con uno sguardo teso al futuro. Il MAXXI è uno dei musei che con la sua città e con il suo approccio molto sperimentale, è il più vicino a Bulgari. La coincidenza ha fatto sì che la sua collezione di gioielli più moderna è stata disegnata proprio da Zaha Hadid, che ha progettato questo museo”.
LA MOSTRA
Qual è il filo conduttore che lega le opere dei finalisti del premio? “Questa mostra restituisce davvero lo specchio di una generazione: ci sono molto tematiche ma anche il modo di approcciarle, che è fortemente contemporaneo, ed è espressione di una generazione: questo fatto di mettere insieme così sapientemente con questa maturità, tecniche, linguaggi, discipline e riferimenti diversi, davvero di un altissimo livello, questo mi ha davvero fatto molto piacere”, ci risponde Bartolomeo Pietromarchi. “Anche le tematiche, quali la difficoltà dell’esistenza, del rapporto con la contemporaneità, i riferimenti politici, i riferimenti esistenziali, fanno emergere sicuramente un’omogeneità”.
L’OPERA DI MARCON
“Per me i vincitori sono tutti e tre i finalisti”, continua Pietromarchi. “Su Marcon forse ciò che ha conquistato la giuria è stata anche questa sua enorme capacità di sintesi attraverso un lavoro molto preciso, molto secco, sebbene estremamente articolato nei termini tecnici, di studio e di ricerca, ma il risultato è stato questa visione estremamente secca e immediata e precisa”.L’opera dell’artista, intitolata Ludwig, è un video proiettato a tutta parete realizzato con la tecnica CGI (computer-generated imagery), ed è frutto di uno studio accurato, in cui nulla è dato al caso. Ogni dettaglio, come la scelta dei capelli biondi, degli occhi neri, della maglietta gialla e del maglioncino blu, è il risultato di una scelta precisa. “Per quanto il lavoro sia un video che ha molto a che fare con l’oscurità e il buio, per me è stato di fondamentale importanza pensare a una struttura dell’installazione che rendesse completamente visibile ed esplicita l’architettura così connotata del museo: le formelle sono completamente visibili, abbiamo studiato un modo per oscurare dall’esterno in modo che queste lo rimanessero”, spiega Diego Marcon. “Le tecnologie sono mascherate in modo che la sala resti il più nuda possibile”.
– Ilaria Bulgarelli
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