Fidarsi è bene, se sei affidabile. Affordance e imprese culturali

Quali requisiti devono avere le imprese culturali per essere considerate affidabili da eventuali enti di credito?

Le imprese culturali hanno di fronte profonde e possibili sfide. Non scontate però (possibili, infatti: per chi lo vorrà) e dettate – fra le tante variabili in gioco – dalla loro reale affidabilità. Un concetto, quello di affordance, che per molto tempo aveva visto come unici player gli attori del business e i loro stretti rapporti con il sistema del credito. Poi, una volta scoperta e constatata una certa nudità dei re della finanza, si è tentato di rimettere al centro la palla, giocando una nuova partita. Una partita che oggi ha dilatato il concetto di impresa, allargandolo a quelle vocazioni che non sono soltanto profit, quanto sociali, ambientali, culturali, e che per innovarsi e crescere (abbiamo visto che “piccolo non è più bello”, così come, prima di soffrire di gigantismo, la strada delle reti di impresa nelle più sfaccettate forme può essere la direzione giusta) continueranno a dipendere dalla finanza terza, bilanciata con l’equity.

Il concetto di lungo tempo si è a sua volta modificato, e questo vale ancor di più per le imprese culturali che puntano tutto sul capitale umano e creativo”.

Ma le modalità con cui presentarsi al direttore di banca di turno (o forse dovremmo pensare più in grande, guardando ai fondi di investimento quali philantropy venture capitalist) non saranno più le stesse di una volta. Non soltanto perché le imprese culturali sono da sempre strutturalmente prive di quel “patrimonio” hardware (immobili in primis) che è stato a lungo la leva che ha apportato finanziamenti più o meno meritevoli, quanto perché ciò che davvero conterà sarà il progetto d’impresa e la capacità imprenditoriale di attrarre risorse nel breve, medio e lungo termine. Il concetto di lungo tempo si è a sua volta modificato, e questo vale ancor di più per le imprese culturali che puntano tutto sul capitale umano e creativo. Tre anni già rappresentano un orizzonte di “stabilizzazione” (ormai siamo un po’ tutti scenaristi di secondo mestiere), che va accompagnato da intervalli intermedi con gli obiettivi del primo e del secondo esercizio.

Alla fine sono le persone che finanziano le persone, nonostante poi i numeri finiscano dentro database bancari e finanziari e vengano frullati da algoritmi sconosciuti ai più“.

Saper raccontare il progetto, corredandolo con i numeri giusti, ne facilita la lettura, inserendo alcuni passaggi attinenti al profilo dei soci e del board, del mercato di riferimento e dei competitor, per citare i not to miss. Se è vero che le imprese culturali sono abituate da tempo a presentare i progetti alle fondazioni bancarie, è bene ricordare che, lasciando da parte questioni terminologiche, le banche, gli istituti di credito e i fondi di investimento sono tutt’altra cosa, così come le loro istruttorie finalizzate al credito o alla partecipazione. Per questo è fondamentale capire chi sarà a valutarci e con quali criteri, prima di farsi prendere dall’ansia dello storytelling.
Alla fine sono le persone che finanziano le persone, nonostante poi i numeri finiscano dentro database bancari e finanziari e vengano frullati da algoritmi sconosciuti ai più. Certo, anche chi finanzia dovrà attrezzarsi per leggere, comprendere e scovare i progetti d’impresa meritevoli, mettendoci quella sana componente di rischio senza la quale né banca né fondo né impresa avrebbero senso di esistere.

Irene Sanesi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #45

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Irene Sanesi

Irene Sanesi

Dottore commercialista e revisore legale. Socio fondatore e partner di BBS-pro Ballerini Sanesi professionisti associati e di BBS-Lombard con sedi a Prato e Milano. Opera in particolare nell’ambito dell’economia gestione e fiscalità del Terzo Settore con particolare riferimento alla cultura,…

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