Cornici sfrangiate. L’editoriale di Claudio Musso
Il critico e docente Claudio Musso analizza l’opera di Banksy che si è autodistrutta durante l’asta da Sotheby’s dal punto di vista della cornice.
Qualche tempo fa una studentessa mi chiese una tesi sulla distruzione nell’arte contemporanea, una di quelle tesi da cui si impara sempre qualcosa, una ricerca che tende a porre quesiti certamente già noti, ma mai sopiti. Tra le prime cose che mi vennero in mente e che le consigliai di approfondire, ovviamente la figura di Gustav Metzger, il DIAS (The Destruction In Art Symposium) e il manifesto dell’arte auto-distruttiva del 1960.
In particolare mi risuonò in mente una frase letta anni prima: “Auto-destructive art is art which contains within itself an agent which automatically leads to its destruction within a period of time not to exceed twenty years”. Le stesse parole a cui ho ripensato leggendo dell’ultima boutade di Banksy durante la vendita all’asta di una sua opera da Sotheby’s a Londra. Di certo la questione della “distruzione” seppur parziale dell’opera è quella su cui si sono concentrati (e forse continuano a farlo) i media internazionali, personalmente invece dopo poche ore ho rivolto l’attenzione su un altro obiettivo.
Ciò a cui non avevo pensato immediatamente era di condurre un’analisi più semplice, a partire dalle immagini diffuse nelle miriadi di articoli pubblicati online. Cosa si vede? Una tela che rappresenta una delle celebri “icone” dello street artist britannico (la bambina a cui è sfuggito il palloncino a forma di cuore) di cui una buona metà penzola letteralmente a striscioline dal lato inferiore della cornice. Ecco, la cornice, quella separazione tra “l’immagine e tutto ciò che non è immagine”, per dirla con Victor Stoichita, quella “finestra benefica”, direbbe Ortega y Gasset, che si affaccia su “brecce di inverosimiglianza”, o ancora, quella frontiera tra l’opera d’arte e la realtà.
Più che sull’opera, sul dispositivo o sull’azione in sé, la mia attenzione è stata attirata dalla cornice. In effetti, si potrebbe affermare che ad essere “sfrangiata” non sia la tela quanto proprio la cornice. Lo è sia in senso letterale, perché contiene il meccanismo che sfrangia, sia in senso metaforico, perché allude alla contraddittoria relazione tra la cosiddetta Street Art e il sistema dell’arte, o, per estensione, alle vicende in cui le opere dell’artista in questione (o di altri come lui) vengono “strappate” per dubbi scopi al luogo per cui sono state create.
Una cornice imponente, voluminosa, appariscente, perfino kitsch, ma allo stesso tempo una cornice svuotata. Anzi, non solo evacuata, ma pronta a essere “occupata”. Tanto che la massiccia reazione del web è stata quella di riempirla, di appropriarsi del contenitore sostituendo il contenuto. Dalla Gioconda alla pubblicità delle patatine fino alle tagliatelle, dall’anonimo al brand, tutti hanno voluto la loro “cornice con la frangia”, neanche fosse una borsa firmata o l’ultimo modello di smartphone in circolazione.
‒ Claudio Musso
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #46
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