Pittura lingua viva. Parola a Giuliana Rosso
Viva, morta o X? Undicesimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Giuliana Rosso (Chivasso, 1992) vive a Torino. Ha frequentato l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Ha partecipato a mostre personali e collettive tra cui: Chi non può dormire di notte, 2018, Spaziobuonasera, Torino; Codice Italia Academy, curata da Vincenzo Trione, 2015, Palazzo Grimani, Venezia; Il senso del corpo, FISAD 2015 (Primo Festival Internazionale delle Scuole d’Arte e di Design), Pinacoteca Albertina, Torino.
Come ti sei avvicinata alla pittura?
Dipingere e creare immagini è un’esigenza che ricordo di aver sempre avuto, come una sorta di formula di denuncia e purificazione da quelle che sono le mie paure e certe sensazioni indefinite non descrivibili attraverso il linguaggio. La pittura rappresenta per me il modo più diretto e trasparente di rappresentazione e di dialogo.
Quali i tuoi maestri e gli artisti cui guardi?
Guardo a tutti quegli artisti, sia contemporanei che del passato, che approfondiscono le questioni umane legate all’inconscio e alla psiche. In particolare mi interessano gli aspetti connessi alla sfera della surrealtà, le dimensioni mistiche e popolari, il grottesco nelle sue declinazioni, il rapporto di convivenza nella stessa istanza di ironia e tragedia.
In questo senso sono moltissimi gli artisti del passato che considero miei maestri, penso a Simone Martini, Giacomo Jaquerio, Francisco Goya, Ludwig Kirchner. Però i pittori che sin da bambina ho amato moltissimo e che mi hanno spinta a una ricerca tecnica e di sperimentazione con la pittura sono stati Vincent van Gogh e Edvard Munch.
La mostra allo Spaziobuonasera è intrisa di riferimenti letterari più o meno diretti… Ce li vuoi raccontare? Ci sono tanti riferimenti, che per me sono un po’ come una presenza invisibile che non percepisco durante la creazione di un lavoro, ma sono presenti e riesco a coglierli solo man mano che la rappresentazione prende corpo. Tante volte mi rendo conto che le letture che mi hanno coinvolta emotivamente sono entrate a far parte del mio immaginario e le ritrovo all’interno dei miei lavori e delle relazioni che si creano fra di essi. Non è un interpretare un testo letterario o poetico ma è un riviverlo all’interno dei miei lavori, secondo un procedere istintivo che segue miei personali ricordi e percorsi del pensiero onirico.
Quali sono le tue fonti di ispirazione, gli immaginari da cui attingi?
Nei lavori esposti allo Spaziobuonasera ho pensato ad Amelia Rosselli, figura anomala nel panorama poetico italiano del Novecento, e in particolare al poema La libellula che scrisse nella sua fase giovanile. Qui utilizza una scrittura che sembra avere un andamento vorticoso e fragile che lei paragona al movimento delle ali della libellula; utilizza le parole come se fossero materia da frammentare e ricomporre e le sue atmosfere sono evocate da precisi toni e colori, sembra quasi volersi spingere verso una zona che va in una direzione altra rispetto a quella della poesia. Altro riferimento che mi viene in mente sono gli studi di Oliver Sacks sulle allucinazioni e gli stati alterati di coscienza.
Perché la scelta della figurazione?
Perché è più vicina a me, alla percezione dei sensi e all’immaginario delle narrazioni.
Parti dalla pittura ma la trasli in un “campo allargato” toccando la scultura e l’installazione… Cosa rappresenta per te questo attraversamento mediale?
Essere pittrice per me non vuol dire solo usare supporti propriamente pittorici ma rappresenta un’attitudine più allargata che va al di fuori della tela e della pittura in senso stretto, si espande verso altri materiali e rapporti tridimensionali. Anche se mi avvalgo del gessetto e di oggetti scultorei, io li considero parte del processo pittorico.
I lavori su carta partono da una preparazione di gesso e colla che imprimo allo stesso modo di una tela, successivamente sovrappongo molte velature di carboncino e gessetti, cercando anche in questo modo di raggiungere una qualità al pari di una pittura e un’ambiguità con essa. Allo stesso modo dipingo le sculture con colori a olio e gessetti. La mia attenzione è sempre rivolta alla superficie degli oggetti, ai suoi toni, riverberi, apparenze non tanto all’aspetto volumetrico e tecnico della scultura, per me è tutta pittura quella che faccio.
Ti confronti tanto anche con lo spazio. Per esempio hai allestito dittici ad angolo retto negli ambienti espositivi.
Sì, ho realizzato un anno fa tre opere pensate per essere installate in un ipotetico angolo formato dall’incontro di due pareti; l’angolo è il limite di una stanza ma è anche luogo di nascita e di incontro, d’ombra e di fantasticheria.
Tutti i supporti su cui dipingo sono superfici che si relazionano e poggiano su uno spazio reale. Si adattano a forme angolari o a rientranze. Lo spazio si trasforma in un luogo in cui si materializzano, nei suoi spazi più problematici (l’armadio a parete, l’angolo, la crepa nel muro), degli eventi misteriosi.
La pittura per te è un mezzo o un fine?
Mentre dipingo sono sempre alla ricerca di un fine che penso di poter raggiungere; i limiti che appaiono durante questo percorso di lavoro mi portano ad accorgermi che la pittura è un mezzo, ed è questa costante sorpresa che mi spinge a ricercare sempre qualcosa di diverso.
Delinei scenari popolati di fantasmi e sussurri, ambienti da cui emergono figure sospese tra la dimensione onirica e la realtà quotidiana. Chi sono i protagonisti dei tuoi dipinti? Quali i tuoi sogni? E i tuoi incubi?
Sono molto spesso adolescenti o personaggi con atteggiamenti riconducibili a quella fase della vita che hanno un rapporto errato o paradossale con l’ambiente-non luogo che li circonda, si materializzano paure, presenze immaginarie, si abbandonano ad attimi di illusione, paralisi, distruzione. Non è che mi interessino l’infanzia o l’adolescenza, ma diventano incisive come metafora per esprimere una condizione umana di inquietudine costante, intrisa di sentimenti contrapposti. I miei sogni e incubi sono piuttosto comuni, non credo sia così importante elencarli.
Perché per la tua personale hai scelto il titolo Chi non può dormire di notte?
Mi sembrava che inquadrasse bene l’atmosfera notturna che legava tutti i lavori, è una frase tratta da una poesia di Amelia Rosselli che fa parte della raccolta Documento.
Cosa rappresenta per te la solitudine?
Un momento di creatività generalmente, ma può anche significare qualcosa di negativo o al contrario una propria fortezza accogliente.
Quanto tecnica e materiali incidono sul tuo lavoro?
Incidono molto, ogni lavoro richiede una precisa tecnica, supporto, scelte di contrasti, campiture, gestione della materia, scelte di toni, brillantezza od opacità per attivare un certo tipo di percezione mentre si guarda un lavoro.
Cosa pensi della pittura italiana contemporanea? Mi sembra, tra l’altro, che ci sia una nuova, forte e interessante ondata di pittura al femminile.
Ci sono pittori e pittrici molto interessanti, non mi interessa molto concentrarmi su differenze di genere e fare paragoni. La nostra società è ancora improntata su parametri maschili, non solo l’arte, quindi mi fa piacere che brave pittrici abbiano sempre più la possibilità di segnare una zona importante del panorama artistico.
‒ Damiano Gullì
Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
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