Didattica e fallimento. Intervista a Giovanna Brambilla e Marta Morelli
Può un’intervista nascere da una "provocazione"? È quello che è successo alla recente Giornata sulla Didattica dell'arte contemporanea tenutasi a Città di Castello, dove, tra le voci chiamate a intervenire, si è fatto largo lo scomodo tema del fallimento nel processo educativo. Potevamo non rintracciare le responsabili di questo intrigante cortocircuito? Ecco le opinioni di Giovanna Brambilla e Marta Morelli, rispettivamente responsabili del dipartimento educazione della GAMeC di Bergamo e del MAXXI di Roma.
Entrambe a capo di importanti dipartimenti educativi, sentirvi raccontare esempi della “didattica del fallimento” o forse, per meglio dire, dell’esperienza del fallimento, quale essenza imprescindibile di ogni percorso educativo mi ha fatto riflettere. Come affrontate questa variabile nella fase progettuale e operativa di un progetto?
Giovanna Brambilla: Poco più di anno fa Kentridge ha aperto a Johannesburg il Centre for the Less Good Idea, convinto che dalle idee meno buone possano nascere opere importanti; è un’idea geniale, che valorizza le pietre d’inciampo che attraversano sempre la strada di chi si occupa di progetti educativi. Lavorare in questo campo significa avere uno sguardo sulle persone, prima che sulle opere, perché queste ultime danno sempre qualche appiglio, cercano di offrirsi allo sguardo e alla comprensione, mentre l’umanità deraglia, scarta dai binari, disillude o sorprende, si nega o si dona, ed è fondamentale sapere ripensare e riprogettare un percorso considerando una ricchezza l’essere stati messi sotto scacco.
Marta Morelli: Nella mia esperienza di educatrice museale ho imparato ad accogliere il caso, l’imprevisto, le modifiche in corso d’opera che rendono un progetto “vero” nel suo farsi. Ho imparato che il fallimento di un’azione non comporta il fallimento dell’intero progetto educativo, ma è un’occasione di crescita e futuro miglioramento. Potrei dire che il fallimento assoluto, così come il successo assoluto, non sono possibili né vengono esaltati: grazie alle valutazioni ex ante, in itinere ed ex post, vengono valutati punti di forza e di debolezza di ogni progetto per procedere con maggiore consapevolezza.
Sempre più, negli ultimi anni, il museo sembra aver recuperato socialmente la sua immagine di luogo dove fare ricerca, studiare, ma anche riflettere e interpretare il presente e tessere relazioni. Come vedete il vostro museo?
G. B.: La mostra Black Hole, curata dal nostro nuovo direttore, Lorenzo Giusti e da Sara Fumagalli, è forse un importante esempio di come la GAMeC sappia essere testimone del suo tempo, intrecciare la ricerca storico-artistica con i paradigmi scientifici e dare vita a un catalogo che raccoglie testi di scienziati e critici, declinati sul fronte di una ricerca sulle opere che sa scavare a fondo e aiutare il pubblico a leggere il presente attraverso lo sguardo anche profetico di molti artisti.
M. M.: Sono d’accordo con quanto dici e, per quanto riguarda il MAXXI, sicuramente è un luogo di ricerca interdisciplinare di ampio respiro e di riflessione sulla contemporaneità. Ne sono un esempio i riallestimenti annuali delle collezioni permanenti, le mostre sulle manifestazioni artistiche non occidentali (che vanno dall’Iran al continente africano a Istanbul a Beirut), sull’unione di più discipline (arte contemporanea, fisica e astrofisica), su nuove letture dei linguaggi architettonici e fotografici. Il lavoro dell’Ufficio Educazione vive di tali suggestioni, facendo a propria volta attività di ricerca.
Volete segnalarci un particolare progetto a cui state lavorando?
G. B.: Nell’ambito di Black Hole vogliamo proseguire il nostro impegno sul fronte dell’inclusione, soprattutto in un momento politicamente delicato come questo. Convinti che la cultura sia un elemento decisivo nella formazione di una coscienza consapevole e di uno spirito critico, stiamo lavorando a un outreach project che ci vedrà portare materialmente un’opera nella Casa Circondariale di Bergamo, per raccontare ai detenuti come gli artisti abbiano sempre intessuto un dialogo sincero, a volte quasi esclusivo, con la materia.
M. M.: Come immagini, abbiamo in cantiere molti nuovi progetti ed è difficile parlarti di uno soltanto. Con l’avvio del nuovo anno scolastico abbiamo reso stabile la proposta educativa per la scuola primaria sui linguaggi fotografici e abbiamo avviato i laboratori per scuole secondarie sull’edificio di Zaha Hadid letto secondo le categorie de I luoghi dell’arte a portata di mano di Maria Lai (artista a cui il MAXXI dedicherà una grande monografica nel 2019). Stiamo organizzando, infine, il primo convegno internazionale di educazione allo spazio costruito che si terrà a gennaio 2019 e sarà rivolto a studenti di architettura e architetti, docenti di scuole di ogni ordine e grado, educatori al patrimonio.
Multiculturalità, integrazione, accessibilità sono concetti sempre più condivisi, cosa aggiungereste? Che sogno nel cassetto avete per il vostro museo e/o per i musei italiani in generale?
G. B.: Il mio sogno ha già iniziato a realizzarsi. Sempre a Città di Castello, dove il convegno di Artea è un luogo di incontri prezioso, ho parlato a lungo con Irene Balzani di Palazzo Strozzi e del loro progetto sull’Alzheimer e, visto il suo interesse per la nostra più che decennale attività in carcere, abbiamo attivato un incrocio di formazione, in pieno spirito di reciprocità e disponibilità. I nostri educatori sono stati ospiti di Palazzo Strozzi e loro sono stati ospiti nostri, per costruire ciascuno un’occasione formativa unica nel suo genere. Spero che opportunità come queste possano proseguire e che questo sia solo l’inizio.
M. M.: Guardando ai contesti museali non italiani, posso dirti che per tutti i musei nazionali auspico una maggiore riflessione (con azioni conseguenti) sul legame tra sapere e potere, con un ampliamento degli attori coinvolti nella produzione delle narrazioni. Auspico quindi una maggiore rappresentanza/rappresentatività dei nuovi cittadini italiani, delle comunità non autoctone, delle comunità LGBTQ, delle persone con disabilità.
‒ Annalisa Trasatti
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