Il ritratto di Edmond de Belamy, gentiluomo appartenente alla fantomatica famiglia de Belamy, è stato battuto all’asta da Christie’s (Prints & Multiples) per 432,500 dollari, superando in larga misura il prezzo di stima (7mila-10mila dollari). Abito scuro, colletto bianco, viso appena abbozzato, la figura quasi fuggevole. In basso a destra la firma dell’artista. Se nel mercato dell’arte la sigla dell’autore è sinonimo di autenticità, in Portrait of Edmond de Belamy è tratto distintivo: la formula matematica colpisce per stranezza di contesto e il dipinto assume nuove prospettive. Il ritratto, creato dal collettivo Obvious, è il prodotto dell’impiego della GAN (Generative Adversarial Networks) o rete antagonista generativa, coppia di reti neurali artificiali in antitesi fra loro: il generatore crea immagini sottoponendole al discriminatore, il cui compito è intendere se l’immagine sia o meno artificiale. Il meccanismo di addestramento reciproco delle due reti neurali dà vita al dipinto che, nel caso di Edmond de Belamy, è stato poi impresso su tela con getto d’inchiostro (dal sito ufficiale di Obvious). Il collettivo francese ha impiegato l’intelligenza artificiale nel processo creativo di altri dieci ritratti della Famille de Belamy.
Prende il nome di arte algoritmica, espressione creativa generata da intelligenze artificiali.
Così è stato per The next Rembrandt, presentato alla Galerie Looiersgracht60 di Amsterdam, ritratto che, per tecnica, colore ed espressività, pare del tutto attribuibile al genio di Rembrandt. Eppure, l’artista è l’Artificial Intelligence. Un gruppo di esperti dell’analisi dati, informatici e storici dell’arte, attraverso il campionamento di opere dell’artista e grazie all’Intelligenza Artificiale ha restituito vita ed estro al pittore di Leida.
Nel 2016 è stato inaugurato, alla Tate di Londra, Recognition, programma di Intelligenza Artificiale creato da Fabrica, centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, galleria virtuale che raffronta dipinti del passato con eventi di attualità.
Ancora, a inizio secolo, con il nome di The Painting Fool, “a computer program, and an aspiring painter”, il progetto di Simon Colton, nato con l’intento di conferire all’Intelligenza Artificiale la stessa dose creativa dell’essere umano. Ma non basta.
Quando Deep Mind, A.I. di Google, è stato autore del primo componimento musicale artificiale, un programma di artificial intelligence giapponese ha quasi conquistato un premio letterario nazionale (Nikkei Hoshi Shinichi Literary Award) con il romanzo breve The Day A Computer Writes A Novel.
Mentre, forse, i più conservatori avranno di che battersi, l’Intelligenza Artificiale si fa strumento di innovazione nel mercato delle attività creative.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E NORMATIVA SULLA ROBOTICA
Si definisce Intelligenza Artificiale la “disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l’uso di un computer” (da Enciclopedia Treccani). Processi mentali replicati da macchine.
Se, da un lato, le A.I. e i robot sono emblema di inevitabile traguardo scientifico-tecnologico, dall’altro si fanno portatori di criticità sociali e giuridiche. L’essere umano ne rimane attratto, ma al tempo stesso intimorito. L’Intelligenza Artificiale che si fa strumento creativo al pari della mente umana dà adito a non poche perplessità. Tralasciando in tal sede le implicazioni sociali del fenomeno, si passi alla disamina delle criticità giuridiche più rilevanti.
Intanto è bene chiarire che in tema di robotica manca un testo di legge: c’è, come si suol dire, un vuoto normativo. A ragione di incalzanti preoccupazioni, a inizio 2017, è intervenuto il Parlamento Europeo approvando le “Raccomandazioni concernenti norme di diritto civile sulla robotica”.
È l’eurodeputata lussemburghese Mady Delvaux a farsi portavoce della proposta, che considera, tra i principi fondamentali del testo, le tre leggi di Asimov sulla robotica (“considerando che le leggi di Asimov devono essere considerate come rivolte ai progettisti, ai fabbricanti e agli utilizzatori di robot, compresi i robot con capacità di autonomia e di autoapprendimento integrate, dal momento che tali leggi non possono essere convertite in codice macchina”, Relazione del 27 gennaio 2017, “Recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2013 (INL))”). Declinate all’interno della “Carta sulla Robotica”, proposta di codice etico – deontologico, a cui attenersi “dalla fase di progettazione e di sviluppo”, e destinate a coloro che si occupano di ricerca in ambito di robotica, le leggi di Asimov sono così argomentate:
i robot devono agire nell’interesse umano;
i robot non devono arrecare danno a un essere umano;
capacità di adottare decisioni informate e non imposte sulle condizioni di interazione con i robot;
equa ripartizione di benefici associati alla robotica e accessibilità economica di robot destinati all’assistenza domiciliare a alle cure sanitarie.
La preoccupazione parlamentare è in particolare rivolta a temi di responsabilità civile, utilizzo consapevole di robot e di intelligenze artificiali, privacy e, non da ultimo, status giuridico delle macchine. Declinare istituti di diritto, quali la responsabilità civile, a robot e A.I. significa primariamente riconoscervi personalità giuridiche, centri di imputazione di situazioni giuridiche attive e passive, soggetti dotati di capacità di discernimento al pari dell’essere umano.
PATERNITÀ DELL’OPERA CREATA DA A.I.
Tornando a Edmond de Belamy, al fianco delle problematiche di natura definitoria di robot e intelligenze artificiali, rimane da domandarsi chi ne sia l’autore. La macchina o l’ideatore del programma?
Opere protette dalla legge sul diritto d’autore (L. 633/1941) sono espressioni dell’intelletto o “ingegno” (Art. 1, L. 633/1941). Sebbene a primo giudizio possa ricondursi alla GAN l’effettiva creazione di Portrait of Edmond de Belamy, si ritiene che, a oggi, la macchina non possa esercitare alcun diritto in ordine ai diritti morali e di sfruttamento patrimoniale dell’opera.
Sarà il collettivo Obvious, in qualità di utilizzatore delle reti antagoniste generative, a ritenersi, a tutti gli effetti, autore del ritratto.
Sebbene appaia indiscutibile che sia l’essere umano a definirsi autore dell’opera, non lo è se lo si considera in questi termini: le intelligenze artificiali sono sempre più sviluppate con l’apprendimento automatico, o machine learning. Ciò implica che la macchina sia in grado di apprendere dall’esperienza e che l’effetto del suo operato non sia del tutto sotto l’occhio del creatore umano. Pensato in quest’ottica, tutto cambia.
Si può iniziare a riflettere su ciò che un domani le macchine saranno in grado di fare e, specialmente, sui frutti del loro operato. Forse, il futuro descritto da Asimov non è poi così lontano.
“Considerando che, dal mostro di Frankenstein ideato da Mary Shelley al mito classico di Pigmalione, passando per la storia del Golem di Praga e il robot di Karel Capek, che ha coniato la parola, gli esseri umani hanno fantasticato sulla possibilità di costruire macchine intelligenti, spesso androidi con caratteristiche umane.
Considerando che l’umanità si trova ora sulla soglia di un’era nella quale robot, bot, androidi e altre manifestazioni dell’intelligenza artificiale (A.I.) sembrano sul punto di avviare una nuova rivoluzione industriale, suscettibile di toccare tutti gli strati sociali, rendendo imprescindibile che la legislazione ne consideri le implicazioni e le conseguenze legali ed etiche, senza ostacolarne l’innovazione”. Punti A e B, Relazione del 27 gennaio 2017, “Recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2013 (INL))”.
‒ Valentina Andrea Sala
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