Kings versus Castiglioni. A Milano
In concomitanza con la mostra dedicata dalla Triennale di Milano ad Achille Castiglioni, il collettivo Kings ha presentato il suo lavoro da Cabinet. Innescando una riflessione sulla logica del ready-made, fra passato e presente.
Lo scorso 5 ottobre il centro della cultura del progetto di Milano, e quindi d’Italia, e quindi di parte del mondo, era concentrato sulla Triennale, dove si inaugurava la grande mostra monografica dedicata ad Achille Castiglioni in occasione del centenario dalla sua nascita. Centinaia di designer, architetti, curatori e intellettuali di varia natura cozzavano negli spazi saturi del Palazzo dell’Arte, alla ricerca dei codici del grande maestro: di quel suo “1+1+1”, ovvero della sua capacità di “trovare” e assemblare in modo imprevedibile oggetti e frammenti “intelligenti”, ottenendo dalla loro aggregazione non la semplice somma di elementi, ma una moltiplicazione dei loro effetti “sorprendente, rivoluzionaria e quasi magica”, come scrive Stefano Boeri nell’introduzione alla mostra.
Nella stessa serata, un piccolo gruppo – non più di un centinaio – di semi-artisti e semi-curatori, semi-sbronzi e interamente porosi l’uno alle esternazioni dell’altro si lasciava fasciare dalla carta da regalo onirica e trasognata che rivestiva le pareti di Cabinet, il progetto di spazio curatoriale concepito e fondato da Maria Chiara Valacchi nel 2010 con l’intento di procedere verso un destino dell’arte non scontatamente appiattito sui codici della modernità più invadente e famelica d’ossigeno.
KINGS-CASTIGLIONI
Di scena sono i Kings, con il progetto Trinacria: una collaborazione speciale nata per il Festival Spazi 2018. Progetto collettivo fondato nel 2000 da Federica Perazzoli e Daniele Innamorato per dar vita a un pensiero libero e trasversale, i Kings rimodulano in una versione più compressa e domestica dieci imponenti manifesti di sei metri per tre che invadevano le piazze e le strade del centro urbano di Palermo durante Manifesta 12.
Al di là della discreta notorietà del duo negli ambienti underground milanesi, le disparità storiche con Castiglioni appaiono schiaccianti: eppure è forse proprio su quelle che occorre soffermarsi un istante. I Kings non hanno un approccio iconoclasta rispetto alle generazioni precedenti: al contrario, colgono con rispetto e attenzione alcuni elementi indiziari dei loro “padri e dunque maestri”. Solo per citare un caso rilevante: nel progetto fotografico e raffinato libro in brossura Details i due si introducono con una macchina fotografica analogica all’interno della casa di vita di Carlo Mollino per scovare e riproporre dettagli di esistenza ed eros, progetto e sofferenza dell’architetto e designer torinese, altrimenti destinati a perdersi nel vortice del suo carisma progettuale e personale.
Loro malgrado, nel venerdì milanese, i Kings sono stati dunque costretti a confrontarsi a distanza e casualità con un maestro della loro stessa tecnica del ready-made. Ovvero del procedimento artistico concettualmente più sofisticato concepito dal secolo scorso: estraneo alle seduzioni plastiche della forma e profondo interprete dell’anelito all’infinito che ci perseguita da quando dio ha iniziato a essere un’immagine giusto un po’ più debole.
Perché anche i Kings fanno “1+1+1” come Castiglioni, raccogliendo e riassemblando object trouvé, intrecci di immagini iconografiche e paesaggistiche di una Sicilia passata e coeva e colmi dell’ambizione di raccontare e tramandare un luogo con la stessa nitidezza con cui si vive un viaggio. L’unica differenza è che il viaggio di Castiglioni è lineare: la lampada Toio o il sedile Mezzadro sono bricolage di vita, storie e usi quotidiani che ricompongono utensili di un ipotetico quanto surreale futuro, veicolato da un nuovo uso delle forme esistenti piuttosto che da ricerche figurative ormai stantie.
L’IMPOSSIBILE OLTRE
Nelle immagini neo-settecentesche elaborate dai Kings, matrici originali in forma di collage o trasformate in carte da parati, degne di un bestiario del paesaggio, si tratteggia invece una impossibilità di andare “oltre”, non solo verso nuovi usi e significati, ma anche verso nuove proiezioni dell’immaginario. Il duo lavora sull’onirico con la rassegnazione di chi ha la sensazione che tutto ciò che c’era da scoprire possa solo essere riscoperto, che tutto ciò che andava sognato è già stato sognato da qualcun altro. Che l’andamento di ogni cosa vada ricondotto a un paradigma circolare non più legato a un unico ombelico.
I Kings sono due, Castiglioni è uno. Gli oggetti dei Kings sono per la pluralità e la città, quelli di Castiglioni per l’individuo e la casa. Quando gli esponenti e gli eterni fan dei maestri definiscono “Generazione X” quella che li ha succeduti, dopo l’apoteosi di droga, costume e soldi da questi schifata e cavalcata, forse farebbero bene a interrogarsi sulla spietatezza della propria affermazione e, insieme, sul senso di profondità che pervicacemente esprimono i loro figli semi-sbronzi.
‒ Guido Musante
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