La Vita Materiale. Otto stanze, otto storie
L’esposizione, che inaugura una nuova stagione del contemporaneo della Fondazione Palazzo Magnani, presenta la ricerca di otto artiste italiane – Chiara Camoni, Alice Cattaneo, Elena El Asmar, Serena Fineschi, Ludovica Gioscia, Loredana Longo, Claudia Losi, Sabrina Mezzaqui – accumunate dall’impiego e rigenerazione di materiali spesso umili e tradizionalmente associati all’artigianato che trovano un originale spazio nel loro lavoro artistico. La mostra offre interessanti connessioni con l’antologica che Palazzo Magnani di Reggio Emilia dedica, in contemporanea, a Jean Dubuffet.
Comunicato stampa
Ne La Vita Materiale. Otto stanze, otto storie - che si terrà a Palazzo da Mosto di Reggio Emilia dal 17 novembre 2018 al 3 marzo 2019 - la leva progettuale è il desiderio di valorizzare una pratica artistica femminile che connette sapientemente il percorso artistico all’esperienza personale e il legame arte/vita in tutta la sua complessità e fertilità.
L’invito per questa mostra è stato rivolto a Chiara Camoni, Alice Cattaneo, Elena El Asmar, Serena Fineschi, Ludovica Gioscia, Loredana Longo, Claudia Losi, Sabrina Mezzaqui, artiste italiane che - seppure con sperimentazioni formalmente molto diverse - sono accomunate dall’ l’impiego di materiali spesso umili e tradizionalmente associati al craft, all’artigianato che trovano un generoso spazio nel loro lavoro artistico.
In un rapporto fatto di allontanamenti e avvicinamenti, di contatto e distacco, di manipolazioni fra fisicità e rarefazione mnestica, la loro ricerca è una “messa a fuoco” del sé nel mondo; racconta l’appercezione e la ri-generazione di oggetti e materiali e da corpo a visioni e a storie, capaci di favoleggiare sul nostro quotidiano e di traghettarci in altre dimensioni.
Storie sottese, provocazioni, interrogazioni, messa in scena dei processi nel loro farsi in tutta la loro fragilità e energia, attraverso lavori in cui il finito e il non- finito si mescolano e in cui le loro opere danno vita a sensibili racconti formali.
Lo spettatore è invitato a scoprire otto habitat, otto ambienti a cui ogni artista ha dato un titolo; stanze come bozzoli, in cui ognuna di loro ha proposto il proprio mondo, il lavoro nello studio e in cui appare chiaramente come la materia, nei suoi processi di trasformazione, sia qualcosa di “organico” e vitale. Si presentano in modo confidente, che non allontana e intimorisce il visitatore, ma che favorisce la sua possibilità di avventurarsi nel gioco della scoperta.
La mostra coinvolge e interroga i sensi: la vista e il tatto in particolare, perché la nostra esperienza passa attraverso il corpo che crea sinestesie con ciò che lo circonda. È un corpo-mondo; per questa ragione in apertura della mostra “l’albero del corpo” percepito e raccontato da Claudia Losi e il velario su un “paesaggio-corpo”, messo in scena da Elena El Asmar, divengono felice prologo alle otto stanze.
L’esposizione si propone come percorso giocoso, intrigante, interrogante che cattura lo spettatore come una tessitura di ragno, emotiva e mentale; al termine del viaggio forse si schiuderanno nuove finestre sul modo di percepire e leggere la nostra comune “vita materiale”.
Il progetto si accompagna a un volume – l’ultima opera collettiva della mostra – edito da Gli Ori, in cui trovano spazio diari di lavoro, appunti e disegni che gettano luce sui percorsi creativi delle artiste invitate, oltre a presentare le opere esposte a Palazzo da Mosto nell’allestimento site-specific.
Per la natura dei lavori presentati, il progetto offre interessanti connessioni con l’antologica, dal titolo L’arte in gioco. Materia e spirito 1943-1985, che Palazzo Magnani di Reggio Emilia dedica, dal 17 novembre 2018 al 3 marzo 2019, a Jean Dubuffet, che illustra la sua figura di genio universale e multiforme, esplorando i numerosi cicli creativi, le vaste ricerche, le sperimentazioni tecniche inedite e originali. Dubuffet, infatti, è stato un artista che, con il suo rigore vitalissimo e intriso d’ironia, ha saputo estendere i limiti convenzionali dell’arte in maniera autonoma, originale e ancora feconda oggi, con una grande capacità di rompere i confini tra cultura alta e bassa decontestualizzando, impiegando e rinnovando la vita di oggetti e materiali connessi alla vita di ogni giorno.
L’evento si inserisce tra le azioni culturali che la Fondazione ha strutturato con il proprio Comitato Scientifico nell’ambito del progetto ampio e organico di messa a sistema, insieme al Comune di Reggio Emilia e a Fondazione Manodori, dei diversi luoghi espositivi della città, da Palazzo Magnani a Palazzo da Mosto ai Chiostri di San Pietro.