Effimere, ma grandiose. Le “macchine” dei Farnese a Parma
Palazzo Bossi Bocchi, Parma ‒ fino al 16 dicembre 2018. Se oggi vi sembrano esagerate certe torte nuziali ed eccessive le pomposità di alcuni riti funebri, allora non sapete in cosa consistevano le celebrazioni per feste o lutti organizzati dalla famiglia Farnese a Roma, Parma e Piacenza, città nelle quali esercitavano il loro potere. In occasione dei 400 anni dalla costruzione del teatro “di famiglia”, Parma dedica una mostra alle architetture effimere d'epoca farnesiana.
Tutto cominciò con Ranuccio I: il primo Farnese nato a Parma fu anche il duca che consolidò il suo potere nel territorio tramite la feroce repressione di una congiura di nobili, nonché colui che completò il grandioso palazzo della Pilotta, trasformandone dopo pochi anni la sala d’armi in uno splendido teatro, ancora oggi tra le architetture più prestigiose e visitate (nonostante la ricostruzione resasi necessaria dopo i bombardamenti subiti nel 1944) di Parma. Nel 2018 il Teatro Farnese ha compiuto 400 anni e, prendendo spunto dall’anniversario, nella città emiliana, a Palazzo Bossi Bocchi, è stata allestita una mostra che documenta e cerca di restituire all’immaginazione dei visitatori quel sistema di apparati effimeri con cui la potente stirpe si manifestava mediante una sorta di “teatralità diffusa”.
MACCHINE INCREDIBILI
Catafalchi funebri, archi di trionfo, scoppiettanti moli pirotecniche (divertente, in mostra, un ologramma che ne simula il funzionamento), e poi vere scenografie teatrali progettate da architetti, pittori, decoratori anche di fama dichiarata – basti pensare ai Galli Bibiena –, in epoca farnesiana diventarono mezzi essenziali per celebrare sfarzosi matrimoni, funerali, ingressi nelle città delle duchesse dalle lontane origini. Ma di tutta questa sovrabbondanza decorativa quasi nulla è rimasto, poiché tali apparati venivano realizzati con materiali poveri e deperibili (legno, cartapesta, stucco): se eterna doveva essere la gloria dei duchi, così non capitava per le costose opere che, dopo aver svolto la loro funzione – sempre se sopravvivevano: talvolta quelle destinate ai fuochi artificiali bruciavano inesorabilmente –, venivano smontate e i materiali riciclati.
COSA RIMANE?
Naturalmente, se è stato possibile dedicare una mostra a questo particolare genere di manufatti artistici, è perché qualcosa di essi si è conservato: si tratta in particolare delle raffinate incisioni che ne riproducono fedelmente e documentano le forme; inoltre vi sono le ricche descrizioni sia degli apparati sia di tutto ciò che costituiva i programmi di quelle celebrazioni, quindi testi poetici, libretti teatrali, cronache. “Il carattere effimero di tali strutture era controbilanciato dalla costante ricerca di sottrarle all’oblio”, scrive uno dei curatori, Carlo Mambriani. E la mostra contribuisce a tramandarne la memoria, sotto lo sguardo talvolta solenne e talvolta godereccio che scaturisce dai ritratti dei Farnese.
‒ Marta Santacatterina
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