Undici anni del festival Lo schermo dell’arte a Firenze. Intervista a Silvia Lucchesi
A pochi giorni dalla chiusura dall’edizione 2018, a prendere la parola è la direttrice del festival fiorentino per un bilancio di questa edizione e una riflessione sul contesto fiorentino
In questa edizione, è stato presentato, In prima italiana, è stato presentato Wild Relatives di Jumana Manna, che affronta la questione ambientale, a partire dall’esperienza del Centro ICARDA. Ritiene che il tema del cambiamento climatico acquisirà un rilievo crescente nell’ambito artistico preso in esame dal festival?
È una questione molto ampia. Gli artisti sono sempre interessati al loro tempo e questo aspetto è sempre ricercato dagli autori che Lo schermo dell’arte seleziona, che attraverso il video e il cinema interpretano quanto avviene attorno a loro. Anche quest’anno abbiamo proposto film che affrontano le grandi questioni della nostra contemporaneità, con uno sguardo alla politica e al sociale: dal cambiamento climatico alle migrazioni; dalla fine del socialismo alla globalizzazione. Il linguaggio del documentario, in particolare, offre loro una forma narrativa estesa e ne abbiamo dato una testimonianza con i tanti lungometraggi in programma. Jumana Manna – di nascita americana e di origine palestinese – si pone domande relative al momento attuale e anche alla sua area di provenienza: quella proposta in Wild Relatives è una vera e propria indagine condotta nell’area mediorientale. Credo sia interessante registrare l’impegno e la sensibilità di molti artisti su questi temi. E il modo in cui li raccontano è molto lontano dal sensazionalismo di certi media.
Lo schermo dell’arte è legato a molte istituzione attive a Firenze e all’estero; per l’Estate Fiorentina 2018 curate una sezione di Apriti cinema. Ha acquisito una “dimensione estesa”, oltre i giorni del festival…
Fin dalla prima edizione abbiamo cercato di non restringere l’attività. Per chi lavora nel contemporaneo, del resto, è impossibile non operare insieme ad altri soggetti; si tratta di costruire un networking, di attivare confronti per crescere: da soli non si va lontano. Nel corso dell’anno abbiamo molte collaborazioni attive. Ricordo quella con Palazzo Grassi: nel mese di marzo successivo al festival, una selezione di opere viene presentata a Venezia nell’arco di quattro giornate. Per Art House di Adrian Paci, a Scutari, in Albania, sviluppiamo un programma di film e di incontri con artisti. Con le proiezioni estive, nell’ambito dell’Estate Fiorentina, proponiamo film già mostrati al festival, ma anche prime nazionali.
I vostri programmi di formazione sembrano portare molto fortuna ai partecipanti…
I due progetti di formazione VISIO e Feature Expanded sono strettamente legati alle attività del Festival. VISIO, dedicato agli artisti under 35, è un progetto che definirei di scouting: ogni anno vengono selezionati con una open call 12 artisti di varie nazionalità, residenti in Europa, che vengono a Firenze nei giorni del Festival per una residenza collegata a una mostra. Sono artisti giovani o giovanissimi che a Firenze hanno un momento importante di visibilità internazionale perché hanno l’opportunità di attivare contatti, di farsi conoscere anche attraverso le occasioni di scambio, quali l’incontro con curatori, le masterclass e i seminari previsti dal programma.
Quali sono i risvolti per voi?
È un momento di arricchimento e confronto importante anche per noi perché attraverso il loro lavoro possiamo indagare le molteplici modalità del linguaggio delle moving images, l’uso delle nuove tecnologie e dei nuovi media. E, in merito alla “fortuna”, proprio quest’anno abbiamo messo in programma due film di artisti che avevano partecipato a precedenti edizioni di VISIO: Diego Marcon, che ha appena vinto il MAXXI Bulgari Prize 2018, e Driant Zeneli che rappresenterà l’Albania alla prossima Biennale di Venezia. Anche Feature Expanded, realizzato in collaborazione con HOME Manchester e sostenuto da Europa Creativa/MEDIA, che è dedicato ad artisti che vogliono realizzare il loro primo lungometraggio, è un programma in cui arte e cinema si incontrano. Nell’ambito della prima edizione del 2015 per esempio è nata la collaborazione tra l’artista australiana Gabrielle Brady e il produttore Samm Haillay, che ha portato alla produzione del bellissimo Island of the Hungry Ghosts che quest’anno ha vinto molti premi nei festival internazionali tra cui il Tribeca e il Mumbay Film Festival e recentissimo l’IDFA di Amsterdam.
Anche grazie a Lo schermo dell’arte, Firenze ha “conquistato” un proprio ruolo nella scena del contemporaneo in Italia. Secondo lei, come potrebbe ulteriormente rafforzarsi?
A mio parere è un errore continuare a sorprenderci che Firenze sia interessata ai linguaggi contemporanei. La dicotomia con l’antico è una questione che dobbiamo considerare come superata. Firenze offre un’ampia proposta di contemporaneità non solo per ciò che riguarda le arti visive, ma anche la musica, la danza e le arti performative. E il contemporaneo non è mai stato in opposizione all’antico: a Firenze, piuttosto, abbiamo la chance straordinaria di viverli entrambi insieme.
Progetti come Lo schermo dell’arte sembrano costituire un’occasione privilegiata di incontro anche tra i residenti e questa comunità di studenti, così nutrita e attiva a Firenze.
Sì, è vero. Quest’anno, abbiamo avuto un’affluenza davvero straordinaria di questi studenti. Sono un pubblico, come le tante persone interessate ai linguaggi del contemporaneo, che pone a tutti noi che operiamo in questo campo una domanda di aggiornamento e di informazione. Inoltre, Lo schermo dell’arte riunisce tanti artisti e professionisti che vengono a Firenze perché il festival è riuscito a diventare un importante momento di confronto e scambio per la comunità internazionale che lavora con le movie images. L’incontro tra questi pubblici diversi è una delle caratteristiche e delle ricchezze del nostro progetto.
– Valentina Silvestrini
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