Tiziano chiama Richter. A Mantova
A Palazzo Te, una mostra mette a confronto le “Annunciazioni” del maestro vento con i potentissimi dipinti astratti del grande pittore tedesco. Lo spunto iconografico sfuma e diventa clamorosa esplosione di materia e colore.
Gerhard Richter (Dresda, 1932) non ha mai nascosto la sua passione per Tiziano (Pieve di Cadore, 1488 ‒ Venezia, 1576), realizzando anche peculiari “remake” dei suoi dipinti. A Palazzo Te, le Annunciazioni del maestro cinquecentesco incontrano le opere astratte del pittore tedesco. Come si costruisce un dialogo in apparenza così ardito? Ne abbiamo parlato con Stefano Baia Curioni, direttore della Fondazione Palazzo Te, Helmut Friedel, curatore della mostra con Marsel Grosso e Giovanni Iovane, e Piero Lissoni, autore dell’allestimento.
Come si è sviluppato il progetto? Da chi è nata l’idea?
Stefano Baia Curioni: Sono partito dall’Annunciazione di Tiziano di Capodimonte. Giovanni Agosti mi ha segnalato il lavoro di Richter sul tema dell’Annunciazione, poi ho convocato un seminario con i miei allievi a Stromboli. Il tema mi affascinava e così abbiamo iniziato a coinvolgere Marsel Grosso, Vittorio Romani, poi altri curatori. Inizialmente l’idea era più filologica, ovvero accostare le opere di Tiziano alle Annunciazioni di Richter che sono custodite a Basilea. A questo punto l’abbiamo contattato. Basilea ci ha detto prima di sì, ma poi ha negato il prestito… Così Richter ha detto “me ne occupo io“, ma poi ha avuto dolorosi problemi familiari e pensavamo che rinunciasse. Invece ha costruito un percorso, dando vita sostanzialmente a una grande opera, usando suoi quadri, inserendo immagini fotografiche delle sue “annunciazioni familiari”. Si è creata una “serendipity” strana, poteva saltare tutto, ma è venuto fuori un risultato a cui siamo molto legati. Teniamo molto anche alla sottolineatura della soggettività femminile che emerge dalla mostra: la figura della Madonna nell’Annunciazione come soggetto, come figura attiva, e non come mero ricettacolo.
Helmut Friedel: Tiziano ha dipinto cinque volte il tema dell’Annunciazione. Nel 1972 Richter, a Venezia per la Biennale, ha visto quella di San Rocco ed è rimasto affascinato, iniziando a lavorare sul tema. Per questa mostra ha realizzato un vero e proprio intervento utilizzando alcuni suoi dipinti recenti per dialogare con Tiziano. Le opere, tra l’altro, non saranno messe in vendita, ma andranno nella fondazione dell’artista. Richter ha ormai sessant’anni di lavoro alle spalle e ha la stessa età di Tiziano quando realizzava le sue opere tarde. La piccola introduzione con i ritratti delle figlie riprodotte in fotografia fa capire come, pur partendo dal figurativo, non lo consideri più “reale” dell’astratto. D’altronde, se si guarda Tiziano da vicino, dalla “distanza del pittore”, ci sono particolari della pittura pieni di vita; la materia pittorica diventa qualcosa di luminoso, crea luce metafisica.
In mostra la presenza di alcune opere di Richter è affidata alla riproduzione fotografica. È una scelta voluta? Oppure la sua opera ha particolari problemi di conservazione e trasporto?
Helmut Friedel: Sì, certo, l’opera di Richter ha già problemi di questo tipo come l’arte antica. Ma il punto non è questo. Nel suo studio, Richter tiene vicino alla scrivania una riproduzione fotografica del ritratto della figlia Betty. “Preferisco la foto al dipinto“, mi ha detto. In effetti, c’è un passaggio in più che crea una distanza, in linea con l’idea di arte concettuale: la vecchia idea di originale non sussiste, si passa alla riproduzione della riproduzione della riproduzione… Ma le fotografie in mostra sono preparate con grande cura e attenzione dall’artista, che del resto usa questa formula anche in altre occasioni.
Avete avuto campo libero nell’accostare antico e contemporaneo? A volte queste operazioni suscitano polemiche…
Stefano Baia Curioni: Spesso sono accostamenti pretestuosi. Qui c’è un legame effettivo e necessario. È bello trovare la complessità nelle corrispondenze. Il dialogo nasce da una realtà, dall’affetto di Richter per Tiziano.
Come ci si approccia all’allestimento di una mostra che dà vita a un confronto così importante e particolare?
Piero Lissoni: Nei primi giorni ho provato un terrore assoluto. Ma poi ho guardato la cosa da un’angolazione diversa. La mostra è stata costruita parlando direttamente con Richter via Skype. Lui si immagina quasi come un pittore rinascimentale. Chiacchierando è venuta fuori l’idea di rendere Tiziano contemporaneo e Richter cinquecentesco. Essendo la mostra nella parte napoleonica del palazzo, bisognava “scorporare” le opere dall’ambiente. L’uso dei pannelli è una scelta molto precisa, ci voleva una superficie d’appoggio per i quadri. In caso contrario, sarebbero entrati in conflitto con l’edificio, per quanto straordinari. Poi ho introdotto due elementi: il fondo bianco per Richter e quello rosso per Tiziano (“mappando” i suoi quadri si è trovato un “rosso comun denominatore”). Il terzo elemento è la luce. Richter viene sempre presentato con luce forte. Gli ho invece proposto di illuminarlo come fosse un autore del Cinquecento, d’altronde siamo in un museo dedicato a una pittura che va oltre il tempo. Ha accettato. Ho operato come un “clandestino” ‒ quando ci sono protagonisti del genere (Tiziano, Richter, Palazzo Te) è come avere tre tenori. Manca solo che ci si metta un quarto. Ho voluto stare in silenzio, passare sottotraccia. È Richter a scrivere la musica, io ho usato il suo pentagramma. Siamo in un edificio storico con una musicalità particolare, devi adattarti. Il percorso comincia con il rosso di Tiziano e termina con quello di Richter: alla fine i mondi si scambiano.
Ci vuole una cautela particolare nell’accostare un “pittore concettuale” come Richter all’arte antica? C’è il rischio di ridurre l’artista tedesco all’idea di “pittura pura”?
Piero Lissoni: Richter stesso mi ha detto: “Io uso tecniche contemporanee ma rimango un pittore“. E alcune volte bisogna presentare un pittore con una metrica da pittore. Si è voluto mantenere una illuminazione piena di drammaticità. Tiziano ti spaventa coi suoi angeli, Richter con la forza del colore. Di solito usa toni più delicati, qui arriva con la potenza di una fucilata…
Stefano Baia Curioni: Qui Richter rivela una dimensione più trascendentale rispetto ad altri suoi lavori.
Helmut Friedel: Certamente Richter è soprattutto un pittore concettuale, ma è bello che qui lo si presenti accostandolo a Tiziano ed evidenziando così la sua grandezza, prescindendo dal valore economico delle sue tele.
Palazzo Te è passato allo statuto di Fondazione. La mostra è il primo esempio di un nuovo corso?
Stefano Baia Curioni: L’idea è di strutturare un modello di gestione integrata. Finora Palazzo Te era diviso in due, con il centro internazionale che si occupava delle produzioni e il comune che gestiva il palazzo. Essere in due a gestire, più i vari concessionari, era difficile. Ora c’è un’unica gestione e una linea culturale specifica: la riflessione su Giulio Romano, l’arte rinascimentale e l’architettura del palazzo. Si partirà dalla mostra dell’anno prossimo su Giulio Romano e la pittura erotica del Cinquecento, mentre dove ci sono ora Richter e Tiziano continueremo con un programma sperimentale di cultura contemporanea, portando anche avanti la collaborazione con istituti come Courtald e Yale.
‒ Stefano Castelli
Versione integrale dell’articolo pubblicato su Grandi Mostre #13
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