Tra modellato e figurazione scultorea. Otto artisti a San Giovanni Valdarno
Casa Masaccio Centro per l’Arte Contemporanea, San Giovanni Valdarno ‒ fino al 13 gennaio 2019. La collettiva curata da Cristiana Collu e Saretto Cincinelli si proietta nel campo della scultura modellata senza pregiudizi. Tra lavori degli Anni Novanta, inediti e opere di Medardo Rosso, Arturo Martini, Antonietta Raphaël Mafai.
Luogo di esposizione e di sperimentazione artistica, Casa Masaccio Centro per l’Arte Contemporanea continua ad attirare nella sua peculiare cornice architettonica una pluralità di voci, sguardi ed esperienze. Un’attitudine che in queste settimane, in bilico tra il vecchio e il nuovo anno, si rivela in maniera ancora più strutturata del solito, grazie alla contemporanea apertura della collettiva De Scultura e alla restituzione della residenza dell’artista indiana Manjot Kaur, classe 1989, quest’ultima con la curatela di Serena Trinchero. Due processi paralleli ma indipendenti, come conferma la collocazione in sedi distinte seppur vicinissime, che insieme forniscono il senso di un orizzonte di ricerca nell’arte contemporanea condotto in modo fecondo, lucido e sempre incline all’ascolto di quanto avviene nel panorama internazionale.
Con la collettiva curata da Cristiana Collu ‒ direttrice della Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma ‒ e da Saretto Cincinelli, Casa Masaccio prosegue nel solco dell’itinerario già tracciato dalle precedenti esposizioni dedicate al disegno, alla pittura e alla fotografia. De Scultura, infatti, costituisce il quarto capitolo del programma avviato con Ripensare il medium: il fantasma del disegno, portato avanti con Senza titolo. La pittura come modello e proseguito, nel 2017, con Fort/Da risonanze e intermittenze del fotografico; è proprio legata a quest’ultima mostra la pubblicazione cartacea uscita nel mese di novembre.
MANIPOLANDO GESSO, RESINA E CARTA
Pur ricorrendo al confronto fra tre nomi della scultura italiana ‒ Arturo Martini, Medardo Rosso e Antonietta Raphaël Mafai ‒ e cinque autori appartenenti a generazioni successive ‒Emanuele Becheri, Paolo Fabiani, Michel Frère, Davide Rivalta e Sandra Tomboloni ‒, Collu e Cincinelli hanno scelto di tenersi a distanza tanto da un’impostazione legata a un criterio cronologico, quanto dalla tentazione di fissare un’introduzione affidata in forma esclusiva ai “maestri”. Piuttosto è l’attenzione riservata alle modalità di modellazione plastica di varie materie ad acquisire centralità, in uno sforzo teso a dimostrare l’esistenza di esperienze che si muovono, nel campo della scultura, in modo simultaneo accanto alla produzione di readymade o alle esperienze a carattere performativo. Negli spazi di Casa Masaccio, figure umane e corpi di animali, volti e corpi, singole fisicità e piccoli raggruppamenti spontanei acquisiscono – o cercano di acquisire – riconoscibilità rispetto alla materia generatrice. All’interno di tale percorso di genesi, le resine e le fusioni di Davide Rivalta cedono il passo alle plastiline e alle ceramiche di Sandra Tomboloni; le manipolazioni ‒ su gesso, terra e carta ‒ di Paolo Fabiani si affiancano alle terrecotte di Emanuele Becheri, presentate in anteprima in questa occasione, oppure dialogano con le opere in resina del belga Michel Frère, scomparso quasi venti anni fa e legato alla Toscana da vari soggiorni. Comune è l’origine degli artisti contemporanei scelti per questo progetto: pur essendo testimoni, con i loro lavori, di un certo modo di intendere la scultura, nessuno di loro la pratica in forma esclusiva. Lo stesso Rivalta, forse “il più scultore di tutti”, è ad esempio attivo anche sul fronte pittorico.
UNA QUESTIONE (ANCHE) DI LUCE E DI BASAMENTI
Se analizzato dal punto di vista della luce, fonte indispensabile per cogliere le specificità dei diversi trattamenti materici, il percorso ascensionale dal piano terra all’ultimo livello di Casa Masaccio, nel caso di De Scultura potrebbe quasi essere paragonato a una “conquista”. Nell’incipit, affidato a due animali in resina usciti dal “bestiario” di Davide Rivalta, la luce rifugge le opere. In linea con la volontà dell’artista di conferire alla scultura un aspetto quasi dinamico, l’illuminazione è stata mantenuta piuttosto bassa e non in asse con le sculture: il fascio non le colpisce mai in modo diretto, mentre la visione frontale risulta quasi ostacolata a favore della ricerca di altre modalità di osservazione. Il registro muta nei due livelli successivi, passando da interventi illuminotecnici puntuali, riservati alle opere poste nel primo piano e intervallate da generose porzioni di meditativo buio, a una dimensione aperta e luminosa, priva di variazioni significative nella sezione che accoglie le sculture di Michèle Frere, Sandra Tomboloni e il legno di Antonietta Raphaël Mafai. Condizioni, dunque, variabili, che all’occhio dell’osservatore si accompagnano anche alla trattazione di un altro dei temi sottesi alla mostra. Cosa resta, in queste rappresentazioni riconducibili al tema della figura ma mai finalizzate alla riproduzione dei corpi nella loro esatta composizione, di quella “rigidità d’impianto” che fu propria della scultura classica e dei monumenti? Non si può dunque sfuggire a una riflessione sulla presenza dei basamenti, conservati – e attualizzati – da alcuni degli artisti oppure del tutto evitati da altri. Un vero frigorifero o una composizione di scatole di medicinali finiscono per prendere il posto che fu delle basi canoniche nelle opere di Fabiani; analogamente, nei lavori di Tomboloni questo ruolo è rivestito da confezioni di biscotti o di altri prodotti alimentari: due modalità per introdurre aspetti di carattere personale, nel caso specifico legate a questioni di salute, in questa più vasta analisi sulle ricerche della scultura del modellato negli ultimi decenni.
‒ Valentina Silvestrini
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