Incisione e arte contemporanea. Parola a Gianluca Murasecchi
Spoletino classe 1965, Gianluca Murasecchi è un importante incisore attivo in Italia. Lo abbiamo intervistato.
Quale pensi sia la posizione corrente, in Italia, dell’incisione rispetto al sistema dell’arte contemporanea?
Il segno come soggetto, e non solo come oggetto, ci richiama a ciò che il Rinascimento aveva così bene saputo sintetizzare, ma per paradosso solo in Italia se un artista sceglie di esprimersi anche con il dato grafico, moltiplicabile o non che sia, è considerato di nicchia.
Altrove è differente?
Nessuno si è mai sognato di appellare Andy Warhol come serigrafo, sebbene la quasi totalità delle sue opere siano appunto serigrafie moltiplicate. Nessuno pensa a William Kentridge come soltanto a un grafico. Lo stesso Banksy si esprime essenzialmente con un pensiero grafico, ma, lui così come tutti gli altri, nell’immaginario popolare sono artisti: nessuno discute il mezzo espressivo che hanno scelto e che questo sia relegato a un ambito solo funzionale, o peggio artigianale. Del resto, anche il riconoscimento specifico del settoriale che fa appellare un artista come essenzialmente grafico è valutativo per metà, perché, rivolgendosi alla sola sapienza tecnica del fare, non lo eleva al grado di un pensiero autonomo.
L’altra faccia della tecnica qual è?
Il pensiero grafico, che è uno dei pensieri più sedimentati delle arti visive, ed è aperto oggi a ogni supporto e luogo. Di fatto, è una delle manifestazioni più genuine che possiamo assorbire nel contemporaneo: la sua multiforme predisposizione per la moltiplicazione lo rende un linguaggio anche politicamente rivolto alle possibilità di diffusione paritaria della cultura, lo pone come mezzo non mediato di sperimentazione e di piena sinergia anche con quella parte preziosissima dell’editoria che interpreta il libro come campo di avanguardia dell’intelletto, dove filosofia, poetica e segno si legano senza barriere.
Nell’età dell’iper-riproducibilità virtuale delle immagini, come interpreti l’ostinata ipo-riproducibilità manuale dell’incisione?
Stampare anche due sole copie di un’opera originale contiene già in sé un universo di interpretazioni sulla verità e il suo doppio che genera immediatamente uno scenario straordinario. Questa è una scelta di oggettività riflessiva, aprire nuove visioni è affascinante. La massificazione dei mezzi digitali, la loro stereotipia, la velocità esacerbata con cui si comunica e al tempo stesso oggi è facile evitarsi accuratamente, ha portato anche molta parte dell’arte a una regressiva superficializzazione in taluni ambiti preponderante, ma sarebbe un errore riportare tutto a un credere di stare nelle cose perché scivolati in esse per inerzia.
Qual è il rapporto della grafica con la tecnologia?
Nella grafica contemporanea la tecnologia più avanzata coesiste con macchine quattrocentesche, perché ancora oggi esse non sono state superate per possibilità espressive e tecnologiche, dunque ha un profondo senso applicare mezzi ed espressioni che si legano anche all’antico con apparente noncuranza. Questo è ancora più sensato se accolto in un alveo di costante ricerca e di tentativo di costante innovazione. In questa dimensione, il meno sul piano fisico porta un più sul piano ideale, l’attraversamento dei linguaggi con il corpo ha il suo importante peso: che ogni riproduzione, persino nella stampa d’arte, implichi un rito diretto compiuto dal corpo dell’autore, rende anche il multiplo un unicum. Per questo anche la grafica originalmente riproducibile è per molti, ma il suo prezioso compiersi ed evidenziarsi è per pochi letterati del segno. Che poi tale linguaggio si leghi così felicemente anche alla forma-libro, in un’epoca di barbarie regressiva, ci riconduce a quel mondo insuperato di Codici, nei quali si tentava di decriptare il mondo generando un mondo nel mondo.
Qualche nome?
Dal grande formato al piccolo, dal lungo al breve tempo, artisti come Chiharu Shiota, Tara Donovan, Kara Walker esprimono un pensiero grafico nello spazio, e oggi, da Burri in poi, sarebbe sbagliato pensare soltanto a matrici piane o al bel mestiere di memoria ottocentesca. Del resto, tutto questo è già ampiamente superato dall’illimitazione di nuove possibili concezioni, dall’esistenza di artisti che hanno fatto, della grafica, un linguaggio totalmente trasversale.
‒ Luca Arnaudo
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #46
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