Gianni Caravaggio incontra Piero Manzoni. A Firenze
Museo Novecento, Firenze – fino al 28 febbraio 2019. Terzo appuntamento del ciclo “Duel”, ideato da Sergio Risaliti, direttore artistico del museo fiorentino, che invita un artista contemporaneo a porsi in dialogo con un’opera proveniente dalla collezione civica oppure da una delle mostre temporanee. Come nel caso del felice incontro tra Gianni Caravaggio e Piero Manzoni.
A rievocare il celebre colpo di dadi di Mallarmé – il gesto poetico che sfida il caso ma che tuttavia jamais n’abolira le hasard – la relazione tra Base magica (1961) di Piero Manzoni (Soncino, 1933 ‒ Milano, 1963) e l’opera Giocami e giocami di nuovo (1996) di Gianni Caravaggio (Rocca San Giovanni, 1968) definisce lo spazio illimitato della possibilità, del sempre nuovo e imprevedibile mutamento dell’esistenza.
In piedi sulla base manzoniana, la vita si riversa nell’opera, nella scultura, accedendo a quella zona aurorale che riedifica la distanza tra il banale e l’assoluto. Ogni volta nuovamente l’artista rifà il mondo e mai a sua immagine, bensì lasciando che le cose accadano ed evolvano oltre il suo controllo. Similmente, nel lavoro processuale di Gianni Caravaggio, è lo spettatore a muoversi attorno a quattro orbite celesti (gli strati di tessuto sovrapposti a pavimento) e a “lanciare i dadi”, riversando sull’azzurro le cinque minute sculture con cui l’artista ha fissato nel bronzo la forma dei continenti.
“L’atto artistico in quanto atto demiurgico si rigenera nel suo dispositivo”, scrive l’artista, ricorrendo a una visione dell’arte aperta all’impensabile e incontrollabile. Costruzione deleuziana di un fare che produce percorsi e non fermate, attraversamenti e improvvise svolte: “Non predire, ma essere attenti allo sconosciuto che bussa alla porta” (Gilles Deleuze, Che cos’è un dispositivo? 1997).
ASSENZA E SOSTANZA
Oltre lo spazio di questo “duello/dialogo”, prosegue la personale di Caravaggio configurando un secondo paradosso, questa volta tutto interno alla concezione stessa della materia scultorea e delle sue proprietà essenziali.
Il mistero nascosto da una nuvola (2013-18) – un grande blocco di granito sommerso, nella sommità di un angolo, dalla polvere effimera di zucchero a velo – depone la sua gravità in favore di una velatura sottile e candida, presenza incorporea che appena si posa per dissolvere e annullare il volume della scultura, consegnandola a una nuvola, all’essenza quasi-nulla della polvere. A pochi passi, oltre il varco di una parete che ospita un gruppo molto significativo di disegni a grafite dell’artista, l’inversione della regola è compiuta, l’assenza si sostanzia: con l’opera L’orizzonte si posa su una nuvola mentre il sole la attraversa (2015-18) il grande cumulo composto da chilometri di nylon trasparente genera una massa lieve e inconsistente che pure mostra la sua solidità, segnata dall’azzurro di un filo che disegna, in superficie, i contorni e le sue vette. È la traccia di un orizzonte instabile in grado di sormontare la luce del sole che appare e scompare al di sotto di quel gigante vaporoso e pallido posato in terra.
ESSERE LA CONTEMPLAZIONE
Ancora una volta, Caravaggio rievoca il lessico manzoniano degli Achromes sintetici al filo di nylon, o quello delle linee orientate verso l’infinità del tempo, la sola dimensione possibile e pensabile per l’artista. “Questa superficie indefinita (unicamente viva)” – appuntava Manzoni nel testo Libera dimensione (1960) – “se nella contingenza materiale dell’opera non può essere infinita, è però senz’altro infinibile, ripetibile all’infinito, senza soluzione di continuità”.
Così, Iniziare un tempo II, il titolo della mostra, sembra avvalorare il principio-speranza di una salvifica prassi dell’immaginazione, la formula combinatoria delle nostre certezze fisiche e psichiche, laddove peso, sostanza, forma, colore e memoria delle cose trovano declinazioni che appaiono impossibili ma che occorre accostare e comprendere, mettendo in questione il mistero, lanciando i dadi e rimescolando i mondi. All’infinito.
“Noi siamo la contemplazione”, scrive Gianni Caravaggio. Siamo la visione sempre vergine e paziente di una creazione ancora in corso.
‒ Roberto Lacarbonara
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