Nostalgie settecentesche. Giovanni Paolo Bedini a Bologna
Palazzo d’Accursio, Bologna ‒ fino al 3 febbraio 2019. Prima antologica assoluta del pittore emiliano, in oltre settanta opere esposte nella città natale. Mondane e luminose, queste pitture documentano una società legata alla grazia, musa settecentesca ormai desueta nell’Ottocento risorgimentale, ma interessante da riscoprire a oltre un secolo di distanza.
Dotta e gaudente, la Bologna dell’Ottocento ha saputo esprimere una scena pittorica in tono con la sua indole di città borghese ed elegante. Fra i pittori più amati, quel Giovanni Paolo Bedini (Bologna, 1844-1924) che, nonostante la formazione presso la locale Accademia di Belle Arti ‒ allievo di Antonio Puccinelli e Contardo Tomaselli ‒, impostò la sua carriera artistica prediligendo scene e soggetti di vita quotidiana, a discapito di quella pittura storica che, pur legnosa e accademica, ancora riscuoteva consensi. Tuttavia, insofferente alla retorica romantica, preferì ammantare le sue opere di quella vivacità settecentesca che però rappresentava il passato, e più tardi rimase indifferente anche al vento modernista del naturalismo. Pittore non particolarmente impegnato, Bedini fu tuttavia un capace e attento osservatore della mondanità dell’epoca, apparentabile, sul piano concettuale, al poeta Giovanni Parini; così come, per il suo guardare alla grazia settecentesca, ricorda nell’approccio il compositore Gioachino Rossini, “pertinace negatore” dell’Ottocento.
LA VIVACITÀ DEL COLORE
Tratto peculiare della pitture del Bedini, un uso del colore capace di infondere luminosità al dipinto e allegria all’osservatore, che si sente partecipe delle scene rappresentate. In quei salotti, in quelle figure snelle e briose, scorre la vita, infusavi dal misurato pennello dell’artista, che mai eccede nei toni cromatici e nelle proporzioni. Raffinate, al punto che quasi le si vorrebbe toccare, le suppellettili, di cui riproduce anche il minimo particolare: gli stucchi, le cornici, i ricami, la mobilia sono altrettanti protagonisti di interni luminosi, eleganti e sfarzosi, che risentono di quel gusto per il Rococò ancora molto apprezzato a Bologna a metà d’Ottocento; ma Bedini seppe anche cogliere il momento per un parziale rinnovamento, quando si lasciò “contagiare” dalla moda per l’arte e l’oggettistica giapponese che interessarono numerosi pittori, fra cui Cristiano Banti e Giovanni Boldini: compaiono allora, anche nei salotti di Bedini, vasi in porcellana istoriata, kimono, sete ricamate a motivi floreali. Una mondanità che però guardava al passato, a differenza dello stesso Boldini o del modenese Giovanni Muzioli, con i quali la mostra propone un interessante confronto di prospettiva.
POPOLO E NOBILTÀ
Le sue donne, civettuole, eleganti, dalla sensualità studiata con affettazione, conquistano l’osservatore, che quasi percepisce il delicato profumo che sale dalle generose scollature di quegli abiti ancora “stile Impero”.
Parimente le figure maschili sembrano uscire da una commedia di Goldoni, se ne intuisce la giovialità nei volti sorridenti, nelle pose salottiere, nella vivacità delle conversazioni. Una pittura che molto spesso assume un arioso taglio fotografico, senza però cadere nella magniloquenza barocca.
Bedini seppe essere anche buon acquerellista e le sue prove in tal senso si offrono allo sguardo con ancora maggior freschezza delle pitture, grazie a quella “imprecisione” di tratto che corregge la leziosità salottiera.
Ma il bolognese non fu solo pittore dell’aristocrazia; la sua attenzione cadde anche su quei soggetti più umili, quali ad esempio le acquaiole, anche se in lui non si ritrova quell’urgenza di raccontare l’Italia popolare propria di Filippo Palizzi, così come è assai più tenue l’intensità psicologica. Seppe tuttavia esprimere una pittura gradevole e armonica, forse nostalgica di un tempo che fu e che non poteva essere ancora.
‒ Niccolò Lucarelli
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