Il rilancio di Spoleto. Intervista a Marco Tonelli, nuovo direttore di Palazzo Collicola
Il nuovo direttore di Palazzo Collicola a Spoleto approfondisce gli obiettivi del suo incarico: valorizzare la raccolta permanente e contribuire allo sviluppo di una rete per l’arte contemporanea in Umbria.
Marco Tonelli, romano, classe 1971, è il nuovo direttore artistico di Palazzo Collicola. Prende il posto di Gianluca Marziani. È arrivato a Spoleto dopo essere stato assessore alla cultura di Mantova e direttore artistico della Fondazione Museo Montelupo Fiorentino. Al suo attivo anche il catalogo generale della scultura di Pino Pascali. Tra i suoi primi passi la valorizzazione della collezione permanente, oggi piuttosto malridotta e la costruzione della nuova rete dell’arte contemporanea in Umbria.
Hai la responsabilità di uno spazio storicamente molto importante, che negli ultimi tempi ha perso parte della sua identità. Quale situazione hai trovato al tuo arrivo?
La collezione permanente, su cui si basa gran parte del prestigio di Palazzo Collicola, è completamente da rivedere, per varie ragioni. Le pareti sono deturpate da crepe e cadute di colore a causa del terremoto del 2016, mentre l’allestimento museale è datato, modificato rispetto alla struttura originaria voluta da Giovanni Carandente e va ripensato. Sculture di Richard Serra e Isamu Noguchi esposte alle intemperie avrebbero bisogno di interventi di restauro, come anche il bellissimo Wall drawing di Sol LeWitt. Niente di grave né irreversibile, direi ordinaria manutenzione, ma che se non si fa, nel corso degli anni, diventa straordinaria e poi critica.
Quale allestimento hai progettato per valorizzare la collezione?
Il nuovo allestimento museale prevedrà un percorso in cui eventi di caratura mondiale come Spoleto 62 avranno una loro centralità (basti pensare che possediamo più di cento fotografie di Ugo Mulas dedicate a quella manifestazione, praticamente una mostra nella mostra), una sezione più ariosa e sviluppata di opere di Leoncillo (ne abbiamo una trentina fra disegni e sculture di ogni periodo), del Premio Spoleto e del Gruppo dei 6 pittori spoletini, per terminare con sale dedicate a grandi scultori come LeWitt, Serra, Calder, Pepper, Chillida, Pascali, Ceroli, Colla, Smith, Mattiacci, Arnaldo e Giò Pomodoro, Mochetti, via via fino a importanti artisti italiani più giovani come Cuschera, Asdrubali, Ragalzi e Pulvirenti. Insomma, un percorso variegato a cui dedicherò molta attenzione nella presentazione dei contesti e delle storie, perseguendo lo scopo di acquisire, attraverso donazioni e comodati, opere di artisti non ancora presenti in collezione e di generazioni più recenti.
Su quali linee è basato il tuo programma?
Insieme al riallestimento della collezione, organizzerò la digitalizzazione dell’archivio Leoncillo conservato nella Biblioteca Carandente del piano nobile e, appena pronto, inaugurerò il nuovo spazio di esposizioni temporanee con progetti di mostre dedicate a importanti artisti internazionali e italiani, con una particolare attenzione per la scultura contemporanea anche all’aperto. Sarebbe importante realizzare, finalmente, il muro di LeWitt pensato per Spoleto di cui abbiamo il modello in collezione.
Non credi che una figura centrale per l’arte e la cultura in Italia come quella di Giovanni Carandente meriti di essere riconsiderata?
Senza dubbio: non basta intitolare un museo a Carandente se poi non si fa nulla per ricordarne e tenerne viva la memoria. A tale proposito, quest’anno ricorrono i dieci anni dalla sua morte e, nell’occasione, pubblicherò un libro che raccoglie un’antologia dei suoi scritti più significativi, dall’arte antica a quella moderna. Inoltre, essendomi in parte formato sui suoi insegnamenti (proprio a Palazzo Collicola ho curato una decina di anni fa, al suo fianco, mostre di Pascali, Leoncillo e Mochetti), vorrei avviare una sorta di centro studi di critica e storia dell’arte, ancora tutto da configurare. Il museo, dunque, come luogo di produzione culturale, che non sempre può coincidere con eventi di effimero intrattenimento.
Hai un progetto sulle ricerche dell’ultima generazione?
Vorrei indirizzare gli artisti più giovani a un dialogo serrato con la storia e la memoria, inventando collegamenti e mostre site specific che utilizzino anche materiali dei depositi, in cui si trovano marmi antichi, statue lignee, arazzi e dipinti del Cinquecento. Un patrimonio non proprio dimenticato, ma sospeso, che merita di essere riportato, seppur periodicamente, alla luce.
Come intendi impostare il rapporto con la città e con il Festival dei Due Mondi?
Realizzando durante il periodo del festival (auspicando di condividere il progetto con gli organizzatori della manifestazione) una mostra che abbia un tema specifico dedicato alla scenografia teatrale o alla musica. Da qui la mia idea di una mostra di LeWitt analizzando il suo stretto rapporto con la musica di Glass, Reich o Nyman. Ma penso anche ai disegni e alle scenografie di artisti come Hockney, Kiefer, Paladino, Plessi e altri.
La Fondazione Burri a Città di Castello, la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia e ora Palazzo Collicola potrebbero essere i vertici di una rete per la valorizzazione dell’arte moderna e contemporanea in Umbria. Cosa ne pensi?
Ne ho già parlato con Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri. Siamo d’accordo nel fare un asse tra Città di Castello e Spoleto. E poi, ovviamente, Perugia, grazie alla presenza di Marco Pierini alla guida della Galleria Nazionale dell’Umbria, attento e sensibile al contemporaneo; senza dimenticare Todi dove a settembre inaugurerà il Parco di Sculture di Beverly Pepper.
‒ Alberto Fiz
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