Pittura lingua viva. Parola a Riccardo Baruzzi
Viva, morta o X? Ventunesimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura "espansa" alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l'illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Riccardo Baruzzi (Lugo, 1976) è un artista visivo e sonoro ravennate di stanza a Bologna. Tra le mostre personali: Premio Lissone 2018, È strano continuare a pensare che la pittura sia fatta per essere vista, MAC ‒ Museo d’Arte Contemporanea, Lissone, 2018; Riccardo Baruzzi e Alberto Trucco: Duet, Museo di Villa Croce Genova, 2017; Del disegno e della vertigine, Galeria Jacqueline Martins, São Paulo, 2017; Del disegno disposto alla pittura, P420, Bologna, 2016. Tra le mostre collettive: Unrealised Paintings, MoRe, 2018; Material Life, The Goma, Madrid, 2017; I hear you singing in the wire, Arcade, Londra, 2017; EX, MAMbo, Bologna, 2017; Biennale del disegno, Rimini, 2017; Corale, FM Centro per l’Arte Contemporanea, Milano, 2017.
Come ti sei avvicinato alla pittura?
Il grande Biru Biru passò in sala parto alla mia nascita. Negli anni seguenti decise di donarmi il talento del disegnatore, in quanto tale mi sono avvicinato anche alla pittura. Per l’appunto: avvicinato.
Chi sono i maestri o gli artisti più o meno vicini cui guardi?
Artisti outsider e i pescatori che decorano i propri capanni nella laguna ravennate.
Come si è evoluto negli anni il tuo lavoro?
Avanti e indietro. Indietro e avanti. Balzando dai fossi con un piede sull’acceleratore di un’auto truccata. Facendo vibrare la mia valvola mitrale davanti a un sound system, disegnando con la frusta.
La tua personale del 2016 da P420 a Bologna si intitolava Del disegno disposto alla pittura. Prima parlavi del “talento del disegnatore”. Cosa rappresenta per te il disegno? E come si rapporta con la tua pittura e la tua opera in generale?
Io sono un disegnatore di quadri. Il disegno è tutto, è la forma più vicina al pensiero. La pittura sopravvive, arranca, dipendendo dal disegno. Il disegno è indipendenza.
Hai manifestato in più occasioni una volontà di “destrutturare la pittura” anche mettendo in luce i processi del suo farsi. Da cosa deriva questa urgenza?
Non destrutturo la pittura, bensì trasformo pensieri e cortocircuiti in processi pittorici inediti. La mia pulsione è analitica, mai sintetica. Poiché il mio fare non nasce dall’amore per le immagini, ho scelto di analizzare i processi (le leggi, gli elementi strutturali) della pittura e del disegno come soggetto delle mie opere.
E il non finito, l’incompiuto, il provvisorio, il lavorare per sottrazione cosa rappresentano per te?
Il non finito, quando è voluto e ricercato, è la più grande cazzata che un pittore possa compiere; è un effetto speciale, ma l’arte non vive di effetti speciali. Chiunque veda incompiutezza nelle mie opere è fuori strada. Per quanto riguarda la provvisorietà, che è un concetto ben diverso dagli altri due, posso dire che me ne sono appropriato da anni. Impiegherei tutte le battute dell’intervista per dare un’idea di cosa significhi per me “provvisorietà”.
I tuoi soggetti sono molto eterogenei: fiori, pornografia, cavalli, divinità… Come li scegli?
Dei soggetti non m’importa niente. Sono modi in cui il processo e la materia acquistano forma. All’interno di una parola, il mio vero soggetto è la lettera. All’interno di una musica, è il suono. “La musica non può esistere senza il suono. Il suono esiste di per sé senza la musica. È il suono che conta”: sono parole di Giacinto Scelsi.
Il suono, appunto, e la performance come contribuiscono a “espandere” la tua pittura? Come si relazionano a essa?
Nella mia pratica, è la P (il termine “pittura” mi dà sui nervi) a espandere il suono. Il disegno è suono, la P lo espande in una melodia non necessaria. Per quanto riguarda la performance: non metto mai in scena il mio corpo, non lo esibisco, piuttosto mi relaziono con un pubblico e uno spazio. Il termine giusto è relazioni, non performance.
Figurazione e astrazione: quando finisce una e inizia l’altra?
Dipende dallo spettatore: da quello che ha mangiato, da quanto si è drogato, da quando ha fatto sesso, dall’ultima frase che gli ha detto sua madre.
Lavori in studio? L’osservazione dal vero ha una funzione nella creazione delle tue opere? E la fotografia?
Sono un uomo che guarda, il mio studio è ovunque io eserciti il mio sguardo. Fotografia è chiudere l’occhio sinistro, guardare con il destro attraverso l’indice e il pollice chiusi in un rettangolo dall’indice della mano opposta, racchiudendo lo sguardo in quadro. A Bologna vivo in una casa-studio.
Quali sono le tue fonti di ispirazione? Letterarie, cinematografiche, musicali…
Sono due domande diverse: l’ispirazione è il processo, la sua spiritualità, il suo ritmo, la sua venuta e dipartita. Letteratura, cinema e musica sono i piaceri che mi accompagnano nella vita. Potrei cacciarti un elenco di autori che amo, ma penso che un artista debba preservare la propria intimità. Posso solo dire che ho un cane, Delice, che guardo tutto il giorno.
Raccontaci il progetto non realizzato che hai donato al museo digitale MoRE…
Si tratta di una struttura circolare rotante, un dispositivo, intorno cui avrei montato piccole tele e disegni non legati gli uni agli altri. Ad agire il moto della rotazione sarebbero stati due attori incaricati anche di recitare un mio testo. Titolo: D.X XY.
Cosa sono invece i Porta Pittura (2010-17)? Come nascono?
I Porta Pittura sono opere scultoree che nascono come dispositivi relazionali di quadri. Chi acquisisce il Porta Pittura dispone di sette tele di cui può cambiare l’ordine e la sequenza; può inoltre appenderne alcune e agire il proprio allestimento della serie di opere. Io stesso nella mia personale da Galleria Jaqueline Martins, nell’arco delle ore inaugurali, ho variato totalmente l’aspetto della mostra utilizzando la rotazione delle opere dei Porta Pittura e al contempo attivando numerosi dispositivi sonori.
Hai supporti, tecniche o formati che prediligi? A un certo punto hai scelto di rinunciare allo strumento per antonomasia del pittore, il pennello…
Non è vero, questa è una menzogna che qualcuno ha fatto circolare. Uso il pennello ogni stagione del calamaro gigante.
Perché fare pittura oggi?
Dipingere se il Biru Biru è passato in sala parto è una cosa lecita, giusta e sacra, allo stesso tempo bisogna metterne in dubbio la sacralità. Il talento non basta, mai. Consiglierei però di fare questa domanda a un pittore.
Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
‒ Damiano Gullì
Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
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