Nasce a Bologna un nuovo spazio (atipico) nei sotterranei di Palazzo Bentivoglio. L’intervista
In occasione di Arte Fiera, nasce un nuovo spazio espositivo nel palazzo 500esco già sede della collezione Vacchi e di studi di artisti come Ontani. Si parte con una mostra di Jacopo Benassi, a cura di Antonio Grulli. Intervista ai protagonisti
La fine dei restauri dei sotterranei di un imponente palazzo nobiliare 500esco a Bologna, è l’occasione per i suoi proprietari di dotare la città di un nuovo spazio espositivo. Stiamo parlando di Palazzo Bentivoglio, già sede (in un appartamento al piano terra) della collezione di Alberto e Gaia Vacchi, abituata a mettere in dialogo la scultura contemporanea di Luigi Ontani e gli antichi affreschi di Felice Giani, mentre le boiseries di Flavio Favelli fanno da contraltare ai soffitti di Antonio Basoli. Ora Alberto Vacchi, presidente dal 2007 di Ima Spa, azienda leader mondiale nelle macchine per il packaging, e significativo collezionista, ha deciso di utilizzare lo spazio sotterraneo del palazzo per dedicarlo ad approfondimenti della sua collezione di arte contemporanea, curata dal critico spezzino Antonio Grulli. Ma senza un’apertura e una programmazione regolare. Situato nel cuore della città e della sua celebre zona universitaria, lo spazio aprirà il 29 gennaio, in occasione di Arte Fiera e del calendario di eventi collaterali Art City Bologna, con la mostra Bologna Portraits di Jacopo Benassi, che racconta il rapporto speciale dell’artista con il contesto cittadino. Ne abbiamo parlato con i suoi protagonisti…
Antonio Grulli, come nasce l’idea dei proprietari, la famiglia Vacchi, di aprire questo nuovo spazio espositivo nell’antico Palazzo Bentivoglio a Bologna?
Gaia e Alberto Vacchi hanno acquistato un grande appartamento al piano terra di Palazzo Bentivoglio circa una quindicina di anni fa, in stato di quasi totale abbandono. Ci sono voluti diversi anni per restaurarlo e riportarlo alla piena funzionalità. Da allora è iniziato il processo di integrazione attraverso il coinvolgimento di artisti. Il principio, nell’intento dei proprietari, era quello di operare nel modo in cui si è sempre fatto in questi contesti, ovvero lavorando con i propri contemporanei, ogni volta che si metteva mano a uno degli spazi, nonostante la struttura (in questo caso) fosse del 1550.
Ci sono già stati degli eventi aperti al pubblico?
Questa casa si è accesa in alcune occasioni per eventi che hanno coinvolto artisti quali Flavio Favelli, Luigi Ontani, Davide Trabucco, Sissi, aprendosi al pubblico – cittadino e non – ma con i limiti e i rischi che un’abitazione implica nel momento in cui si apre allo spazio pubblico. Ecco allora che nasce l’idea di restaurare i sotterranei dell’appartamento per poter avere uno spazio pubblico in cui la “casa” può presentare il proprio lavoro di ricerca.
Che tipo di programmazione avrà?
Sarà uno spazio anomalo, volutamente non troppo appariscente, che si accenderà durante l’anno a seconda delle necessità. I progetti per il momento saranno legati alla collezione. Vogliamo che questa “sotterraneità”, si rifletta anche nel suo modo di operare, come se in maniera carsica e inaspettata, di volta in volta, emergesse qualcosa.
A proposito della collezione di arte contemporanea della famiglia Vacchi di cui ti occupi, ci puoi fare qualche nome per capire in quale direzione andrà il futuro dello spazio e il target di riferimento?
In questi tre anni la collezione si è sviluppata in maniera organica. Ci siamo mossi a livello internazionale e nazionale, con un occhio di riguardo per gli artisti italiani mid-career che spesso risentono delle nostre carenze di sistema. Abbiamo privilegiato le installazioni realizzate appositamente per gli spazi dell’appartamento, come nel caso di Flavio Favelli, che per primo ha lavorato in questo luogo, e che è presente con più opere. A questo negli anni si sono aggiunti interventi site specific di figure come Luigi Ontani (che in questo palazzo lavorava negli anni sessanta), Sissi, Dan Graham, Cuoghi Corsello, per citarne alcuni. La collezione proseguirà su questa linea e lo spazio sotterraneo sarà dedicato di volta in volta a progetti pensati appositamente (come in questa prima mostra) e legati, come dicevamo, alla collezione.
Ci racconti com’è lo spazio nei sotterranei di una imponente dimora storica del ‘500, e qualche anticipazione sull’allestimento della mostra di cui sei curatore?
L’intervento architettonico – seguito dallo Studio Iascone – è un mix di contemporaneità e utilizzo di materiali e tecniche avanzate, in grado di dialogare e lasciare inalterato il fascino enorme di un luogo che ha quasi 500 anni. Per l’allestimento, con l’artista abbiamo deciso di lavorare in maniera anomala rispetto alle classiche mostre di foto. Ci saranno circa duecento scatti posizionati sopra dei tavoli/scultura. Volevamo che rimanesse chiara l’idea di come questo progetto abbia un taglio molto di ricerca, come se le opere ancora fossero sul tavolo dello studio, perché a tutti gli effetti Jacopo ha usato l’appartamento e Bologna come un momento di studio e di ricerca laboratoriale.
Jacopo Benassi, la mostra s’intitola Bologna Portraits: qual è il tuo rapporto con la città?
Con la città non avevo quasi alcun rapporto fino a circa tre anni fa. Ero stato alcuni giorni ma non mi aveva catturato. Poi ho iniziato a frequentarla per lavoro e ho cambiato completamente la mia percezione. Sono venuto molte volte negli ultimi anni, per vari motivi, e in quei giorni è nato questo progetto: ho iniziato a ritrarre alcune delle persone che incontravo e che mi intrigavano, e con Antonio abbiamo notato che c’era del materiale molto interessante. Allora abbiamo deciso di lavorarci sopra, facendo altri scatti, con la finalità di un libro, che vedrà la luce in contemporanea con la mostra.
Una tua mostra del 2017 s’intitolava proprio Palazzo Bentivoglio: il progetto attuale è un’evoluzione di quello?
Non è un’evoluzione, ma i due progetti sono collegati. La mostra del 2017 era una raccolta di scatti realizzati all’interno del Palazzo, che è il luogo dove spesso sto e lavoro quando sono a Bologna. Ma non erano ritratti. I due progetti si sono sviluppati in contemporanea. Palazzo Bentivoglio è sempre stato un luogo magico, e moltissimi artisti vi hanno lavorato e avuto lo studio. Ancora oggi.
Sei un fotografo molto legato all’ambiente musicale e per anni hai gestito un locale, il Btomic a La Spezia, che hai co-fondato tu stesso. Quali sono i personaggi che hai deciso di selezionare?
La selezione delle persone è un mix di casualità, amicizia e desiderio. I primi li ho incontrati per caso: ovviamente nella maggior parte dei casi si trattava di persone vicine ad Antonio Grulli, Carlotta e Gaia Rossi, con cui stavo collaborando in quei mesi e che sono anche cari amici. Quindi le prime foto erano soprattutto di artisti, personalità in vista di Bologna, ma anche semplici amici che avevano una fisicità e un volto capace di intrigarmi. Molti, sin da subito, i musicisti ritratti, per la passione che anche tu mi riconosci. A questi si sono aggiunti poi baristi, stilisti, direttori d’orchestra, sarti, fotografi e molti altri. Ma anche figure non famose, di tutte le età, dai ventenni ai novantenni. Quindi troverete nomi quali: Flavio Favelli, Nino Migliori, Sissi, Angela Baraldi, Emidio Clementi, ma anche personalità come Mariuccia Casadio, Eva Robins o Gianluca Vacchi.
Nel progetto espositivo bolognese riveste molta importanza anche un libro, realizzato a quattro mani con il critico Antonio Grulli. Ci puoi raccontare in cosa consiste?
Sì, il libro edito da Damiani è un lavoro a quattro mani con Antonio. Abbiamo ideato un layout molto semplice ma anomalo, che permette al suo testo di seguire le mie foto dall’inizio alla fine, in maniera frammentata nella parte bassa della pagina. Per leggerlo si è costretti a sfogliare tutto il libro. Siamo molto contenti del risultato, anche perché in Italia si fanno molti libri di fotografia, ma raramente sono pensati come un’opera, soprattutto a quattro mani come questa.
– Claudia Giraud
https://www.artribune.com/mostre-evento-arte/jacopo-benassi-bologna-portraits/
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