Tutti parlano di Banksy, molti discutono il valore e l’autenticità della sua arte, qualcuno lo cita persino nel titolo di un film documentario. Lo street artist britannico è senza dubbio uno dei personaggi del momento, merito soprattutto dell’alone di mistero che i media hanno creato intorno alla sua identità, nascosta dietro l’anonimato di un cappuccio scuro.
L’arte urbana è un fenomeno creativo nato e cresciuto nelle periferie degradate delle metropoli, e per molti dovrebbe restare confinata sulle pareti di capannoni, nelle gallerie sotterranee o sui muri di edifici abbandonati, come forma di espressione artistica libera, gratuita e non regolamentata C’è chi invece vorrebbe trasformare quelle stesse immagini, “puerili e inutili” ‒ come sostiene Pino Boresta, in un recente articolo ‒ in capolavori del nostro tempo. La filosofia della Street Art appare così condensata in pezzi singoli, da esporre o da battere all’asta (e magari distruggere nel momento stesso dell’aggiudicazione…), privata parzialmente dei contenuti sociali e politici, oltre che dell’essenza intrusiva, dissacratoria e di protesta tipica dell’ambiente underground da dove sorge.
GENIO O VANDALO?
La domanda è più che lecita, perché nell’opinione comune i graffitari sono considerati vandali che imbrattano muri, vetrine e saracinesche in città. Certo è che, senza l’autorizzazione dell’artista ‒ che ha scelto l’indipendenza dal sistema dell’arte contemporanea ‒, il mercato di stampe e manifesti, litografie, tele e persino di pezzi di muro firmati Banksy sta raggiungendo prezzi stellari. Complici forse anche operazioni semi-culturali come la mostra allestita ora a Madrid, nel padiglione 5.1 di Ifema (il quartiere fieristico della capitale), intitolata Banksy, genio o vandalo?, organizzata dall’agenzia russa IQ Art Management in collaborazione con la spagnola Sold Out, e curata da Alexander Nachkebiya.
La genialità di Banksy sembra dunque aver permesso che molti dei segni grafici che ricorrono nei suoi murales siano ridotti a quadretti da appendere ai muri, in tiratura limitata ma non troppo. Le opere esposte a Madrid sono infatti perlopiù serigrafie riprodotte in 300, 400 e persino 600 esemplari. I topi di fogna, l’animale che più si adatta ai cambiamenti ambientali, o le bimbe d’antan che rincorrono palloncini colorati; le scimmie che occupano gli scranni del Parlamento inglese o i rigidi poliziotti che incarnano l’ordine imposto, spesso esautorati o ridicolizzati, sono passati magicamente dai muri alla carta attraverso un processo consapevole dell’artista, non privo di interessi commerciali. La mostra di Madrid racconta proprio questo percorso, e ha per obiettivo incrementare la popolarità del writer britannico. Il target a cui si rivolge è ampio perché vasto ed eterogeneo è il pubblico a cui giunge il messaggio dell’artista di Bristol, le cui immagini sono semplici metafore che oltrepassano le barriere linguistiche e sociali. Non a caso nel padiglione 5.1 di Ifema si odono in sottofondo i ruggiti dei dinosauri protagonisti della mostra blockbuster per famiglie, organizzata in contemporanea dalla stessa agenzia spagnola Sold Out e dedicata a Jurassic World.
ORIGINALI MA NON TROPPO
Oltrepassando una porta di cartone, presidiata da due ratti stampati, il videowall Banksy does the world, è una compilation ritmata e coinvolgente dei suoi più noti e discussi interventi urbani, da Londra a Bristol, da New York a Parigi, Los Angeles, Canada e Palestina.
Un piccolo set da docu-fiction ricrea poi l’ambiente di lavoro dei graffitari, tra bombolette spray, stencil e atmosfere notturne. Sono un’ottantina in tutto le opere esposte a Madrid (28 serigrafie originali e 45 riproduzioni) e quasi tutte provengono dalla Lilley Fine Art ‒Contemporarey Art Trade; pochi però sembrano i pezzi unici, come le lastre per le stampe delle litografie o la busta+lettera+disegno autografo (forse contenente istruzioni per un lavoro in esterni) o gli acrilici su tela, perlopiù di collezioni private, come la Scimmia che fa surf su una bomba (2000), Artiglieria pesante (2000), dipinto su recto/verso, o la piccola e delicata Rose trap (2001). È probabilmente originale anche il muro di Stop ESSO (2003), parte della campagna di Greenpeace, che si dice possa valere fino a 2 milioni di euro.
IL FASCINO DELLA CULTURA UNDERGROUND
La mostra di Madrid vale però soprattutto per quello che racconta di Banksy, la sua identità e la sua maniera naif, ma nel contempo forte e provocatoria, di veicolare messaggi politici e sociali attraverso l’arte urbana del nuovo millennio. Le immagini retroilluminate delle stanze dell’Hotel di Betlemme, con la vista peggiore al mondo, e i murales sui brandelli di cemento della striscia di Gaza (2017); il video con il progetto collettivo di Dismaland, il parco tematico trash realizzato nel 2015 nella baia di Bristol, con la partecipazione di 58 artisti tra i quali Damien Hirst; le mostre Barely Legal (2006, L.A.) e Banksy contro il Bristol Museum (2009), sono solo alcune delle tappe di un percorso ampio, complesso e senza dubbio affascinante.
Banksy non è il solo che, a colpi di bombolette spray e di stencil, decora le strade del mondo, ma lo stile, tra ironia e poesia, dei suoi interventi urbani è sempre più riconoscibile e ha contribuito a captare l’attenzione di pubblico e media. Peccato forse che in Italia resti per ora traccia del suo lavoro solo a Napoli, con la Madonna con la pistola di piazza dei Girolamini (recentemente protetta per iniziativa popolare). E che in Spagna il tentativo di coinvolgerlo in un progetto di arte urbana collettiva dedicato al tema de Las Meninas ‒ a Canido, vicino a Ferrol ‒ sia stato abortito sul nascere nella primavera del 2018.
‒ Federica Lonati
Madrid // fino al 10 marzo 2019
Banksy, genio o vandalo?
Espacio 5.1. IFEMA
Avda. Partenón 5
www.banksyexibition.es
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