Marketing. Che non è sinonimo di demonio
Due libri nel giro di poche settimane. Uno dedicato più in generale a “Economia e marketing per la cultura”, l’altro più specifico, orientato al “Marketing dei libri”. L’autore è Fabio Severino, nostro storico columnist. In questa intervista abbiamo fatto il punto su alcune questioni.
Come sta cambiando il marketing per la cultura in questi anni? Quali sono le linee di tendenza?
Il marketing è una disciplina aziendale nata nell’impresa commerciale. Portandolo sulla cultura si è preso solo il fundraising e la comunicazione.
Un malinteso. Il marketing è anche altro.
Esatto. Marketing è creare valore. Adesso si inizia a studiare il pubblico, in maniera strategica alla programmazione, se non alle politiche culturali. Si fa segmentazione della domanda. Sempre più il marketing si occupa anche di prodotto, prima era un tabù. Siccome la cultura o è arte o è storia, cosa poteva offrirgli il marketing? Si rischia di mercificarla!
E invece?
Si è capito che il marketing aiuta il prodotto ad accrescere la sua accessibilità, significa ad esempio comunicazione interna per un museo, modalità di narrazione a seconda dei pubblici per l’archeologia o l’arte contemporanea, piuttosto che forme di allestimento e scenografia, o diversificare i titoli di un libro, i prezzi per fasce di pubblico e molto altro. Si sono fatti passi avanti importanti, è anche cambiata una generazione. Il marketing culturale è creare valore e porsi il problema del percepito e non dell’erogato.
Dopo così tanti anni di crisi, ormai sono quattro dal 2008, si potrebbe pensare che le aziende puntino a tagliare sul marketing. Invece magari è proprio ora il momento di investire?
Il marketing è un centro di investimento se non addirittura di ricavo, non di costo. Il marketing è una disciplina inclusiva, che ha bisogno di tutta l’organizzazione per realizzarsi (produzione, amministrazione, direzione artistica, risorse umane). Ma tutti hanno anche bisogno del marketing, che offre gli strumenti per capire per le persone, il pubblico, i cittadini, ponendosi l’obiettivo di andare loro incontro, di far avvicinare cultura, arte e storia alla società. Poi, ma solo dopo aver capito questo, si può pensare (e riuscire) nel fundraising privato.
Quali sono le questioni irrisolte del nostro sistema Paese quando si parla di marketing culturale? Per punti, le prime tre questioni che andrebbero affrontate…
1. Il marketing non è vendere, bensì creare valore per chi produce e per chi fruisce. È un luogo di incontro. 2. Qualsiasi azione non può più prescindere dall’analisi del contesto e della comunità. Le persone hanno bisogno della cultura, ma devono essere capite, bisogna parlare il loro linguaggio. 3. Accessibilità. La cultura è di tutti e per tutti. La programmazione dell’offerta deve essere inclusiva, deve essere scelta insieme alla domanda, alle persone.
Qual è invece il Paese che oggi è messo meglio e dove bisogna andare a cercare tutte le migliori pratiche in questo ambito?
Mi viene da dire: tutti. Perché mi sembra che altrove ci sia più rispetto per le persone. La cultura è quasi tutta finanziata dalla collettività, sebbene poi solo una piccola parte di essa ne fruisca realmente. Questo dovrebbe porre l’obbligo a chi offre cultura di includere e cercare tutti, di essere veramente servizio di pubblica utilità, bene meritorio. Ad ogni modo, nessun Paese è come l’Italia. Cercare buone pratiche può essere utile ad avere consapevolezza di ciò che si può fare (benchmarking), non a trovare modelli da replicare qui da noi. È uno dei motivi che ha portato alla iniziale demonizzazione del marketing culturale, che all’inizio era importato in maniera pedissequa dal mondo anglosassone.
Nella tua attività pubblicistica ti sei ultimamente occupato anche di libri, dedicando al marketing editoriale un intero volume. Lì com’è il quadro: cosa va bene, cosa va male, cosa si dovrebbe fare e non si fa?
L’editoria libraria è la cenerentola dell’industria culturale, ovvero quella a riproduzione seriale. È un mondo affascinante, a cavallo tra l’artigianalità produttiva (l’editore e l’autore) e i problemi della grande distribuzione, dell’anonimato dei lettori, del consumo individuale. Benché il libro sia il fondamento della storia umana, vive sempre in sofferenza: margini bassi, grandi rischi editoriali, filiera costosa e complessa. All’inizio della crisi economica mondiale ha retto bene, del resto la lettura di un libro dura di più di un qualsiasi altro intrattenimento (spettacolo, film ecc.) in relazione al prezzo d’acquisto. Nell’ultimo anno e soprattutto negli ultimi mesi, invece, il mercato librario sta andando malissimo, c’è stata contrazione a due cifre nelle vendite e nel budget di spesa individuale.
Ma le cose stanno cambiando, no? Il concetto stesso di libro sta mutando…
Sì, c’è una grande sfida davanti agli editori, pari a quella offerta dalla tipografia di Gutenberg: il digitale. Così come il libro stampato ha permesso la diffusione della lettura e quindi della conoscenza, portando benessere e democrazia, lo stesso può fare quello che oggi chiamiamo e-book, ma che è molto, molto di più. Si tratta dell’hic et nunc, portare ovunque e subito, grazie a Internet e, in remoto, ai terminali portatili (tablet e smartphone), il sapere. Gli editori lo devono capire, devono avere coraggio e sperimentare nuovi contenuti e soprattutto nuove modalità di fruizione. Oggi in Italia legge almeno un libro l’anno solo poco meno della metà degli adulti. Il digitale può modernizzare e alfabetizzare tutti in un colpo solo.
Un grande salto. Cosa servirebbe per compierlo?
Sarebbe bello avere anche un progetto politico di sostegno, ma questa è un’altra storia, un’altra intervista.
Massimiliano Tonelli
Fabio Severino – Economia e marketing della cultura
Franco Angeli, Milano 2012
Pagg. 160, € 19
ISBN 9788856840988
www.francoangeli.it
Fabio Severino – Marketing dei libri
Editrice Bibliografica, Milano 2012
Pagg. 132, € 20
ISBN 9788870757064
www.bibliografica.it
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