Spazi matriarcali e altri scivolamenti (IV)
L’importanza dell’arte al femminile nella rubrica firmata da Christian Caliandro.
Gli spazi matriarcali, nell’arte e nella società, tendono a far saltare confini e gerarchie.
Il confine e il margine si espandono, si sfrangiano, si sdefiniscono: all’interno di questo processo l’identità si fonde con il contesto. L’identità maschile teme questa fusione, la interpreta come una minaccia alla propria integrità puntellata dai ruoli, dalle funzioni, dalle gerarchie (“(il maschio) passa a definire ognuno e ognuna in termini di funzione e di uso, assegnando, com’è ovvio, a se stesso le funzioni più importanti: dottore, presidente, scienziato”: Valerie Solanas, Manifesto S.C.U.M.).
Abolire ruoli e gerarchie vuol dire anche lasciare emergere liberamente i nuovi punti di vista; non incanalarli; non condizionarli. Accettare la vita come un flusso. Accettare il flusso, e la propria trasformazione, significa quindi fuoriuscire dalle griglie attraverso cui interpretiamo il mondo: “Ci lasciamo sfuggire il fatto che il significato si svela solo quando scopriamo la gratuità della creazione” (Henry Miller).
E invece nell’arte contemporanea vediamo solo caselle, caselle da riempire (o da svuotare).
Da più parti, il sistema dell’arte viene riconosciuto come largamente disfunzionale, sfavorevole all’innovazione radicale e come l’ecosistema esattamente opposto a quello coerente con lo sviluppo di un’arte del XXI secolo. Jerry Saltz per esempio su questo punto è sempre molto chiaro e lucido, analizzando le interazioni tra fiere, meccanismi del mercato e creatività: “As a system, art fairs are like America: They’re broken and no one knows how to fix them. Like America, they also benefit those at the very top more than anyone else, and this gap is only growing. Like America, the art world is preoccupied by spectacle ‒ which means nonstop art fairs, biennials, and other blowouts. Yet the place where new art comes from, where it is seen for free and where almost all the risk and innovation takes place ‒ medium and smaller galleries – are ever pressured by rising art fair costs, shrinking attendance and business at the gallery itself, rents, and overhead” (Break the Art Fair, “Vulture”, 1 maggio 2018; cfr. anche How Does the Art World Live with Itself?, “Vulture”, 18 ottobre 2018).
Come abbiamo visto nella scorsa puntata della serie, le idee di Carla Lonzi e Valerie Solanas a proposito del rapporto tra pensiero femminile e arte sono a tutt’oggi largamente inesplorate – e certamente poco praticate. Se è vero che l’arte femminile è certamente fiorita nel frattempo, la rigidità, l’asfissia del sistema dell’arte (il contesto di produzione e di ricezione) così come si è venuto costruendo nell’arco dell’ultimo quarantennio non sono certo né matriarcali né femminili. Questo sistema è uno spazio non poroso, assolutamente gerarchico, e nel quale i ruoli e le funzioni sono fondamentali. È uno spazio con caratteristiche profondamente maschili, con un’identità maschile, e che non prevede molte sorprese. Uno spazio che si estende al modo in cui le opere sono concepite, realizzate, interpretate, esibite e scambiate.
Se invece lo spazio matriarcale è sfrangiato, permeabile, non-gerarchico, favorevole all’imprevisto, allora molto probabilmente è questo lo spazio che serve all’arte: si tratta cioè di uno spazio fisico e mentale, materiale e immateriale, economico e culturale – in grado di supportare non la separazione totale rispetto a quello dell’esistenza, ma piuttosto il modo in cui l’arte si inoltra nella vita quotidiana mescolandosi e confondendosi con essa.
Come si è detto fin dall’inizio, questa è un’epoca di terrori – ma anche di magie: e per scoprire – e praticare – le magie occorre affrontare la paura dell’ignoto.
‒ Christian Caliandro
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