Pittura lingua viva. Parola a Gianni Politi
Viva, morta o X? Ventiduesimo appuntamento con la nuova rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura "espansa" alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l'illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Gianni Politi è nato a Roma nel 1986. Ha esposto i suoi lavori in numerosi musei e istituzioni, tra cui Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, Nomas Foundation di Roma, American Academy in Rome e Italian Cultural Council di Praga. Tra le mostre personali: 2017, in collaborazione con Galleria Lorcan O’Neill, Fonderia Artistica Battaglia, Milano, 2018; Bodybuilding, McNamara Art Project, Hong Kong, 2018; Paintings From the Old World, 56 Henry, New York, 2018; Calza, doppia personale con Giuseppe Buzzotta, Palazzo Zino, Palermo, 2017; Vussurìa, Castello di Carini, Palermo, 2017. Tra le collettive: Il richiamo di Cthulhu, Palazzo Mazzarino, Palermo, 2018; La stanza del padre, Ipercorpo, Ex Deposito ATR, Forlì, 2018; Nuova terra antica, La Vallonea, Capalbio, 2018; Work in progress – La Collezione San Patrignano, La Triennale di Milano, Milano, 2018; Il paradigma di Kuhn – Atto primo, Galleria FuoriCampo, Siena, StudioO2, Cremona, 2018; Iconoclash – Il conflitto delle immagini, Museo di Castelvecchio, Verona, 2017; Il meglio del meglio, Temple University Rome, Roma, 2017.
Come ti sei avvicinato alla pittura?
Direi che è la pittura che si è avvicinata a me.
Chi sono i maestri o gli artisti più o meno vicini cui guardi?
Vivo in viale del Vignola, traversa di via Donatello, a cinquanta metri da via Guido Reni, cento metri da piazza Gentile da Fabriano, centocinquanta metri da Pietro da Cortona e intorno ci sono altre decine di vie che portano i nomi di grandi pittori e artisti. Direi che ho già tutt’intorno i riferimenti giusti.
Come si è sviluppato negli anni il tuo lavoro?
Ho continuato a procedere, piuttosto che in orizzontale, in verticale. Ho scelto di andare in profondità e addentrarmi sempre di più dentro le mie ossessioni per materiali, tecniche e immagini. Ho intorno a me un mondo frammentato che cade a pezzi, dentro di me devo trovare una strada per procedere senza sgretolarmi come il resto.
Costruzione e decostruzione… La tua pratica è basata sul riutilizzo di materiali. Mi piacerebbe approfondire questa tematica.
Vorrei che, guardando le foto di dieci lavori sparsi nel tempo, si riuscisse a capire la sequenza cronologica che mi porta avanti in questo dialogo tra archivio e immagine. La mia pratica è le scatole cinesi… C’è una matrice originale che dà vita a tutto e il resto è architettura.
Quanto contano l’imprevisto, l’irrazionale nella definizione di un tuo lavoro?
Poco, do valore solamente alle scoperte.
E la memoria personale, il ricordo?
Senza di loro saremmo perduti. Per questo dipingo solo mio padre, per ricordarmi che sono un artista che è nato a Roma nel 1986. Gli altri lavori, quelli astratti, sono i miei nemici, perché sono il tentativo di annullare il mio piccolo ego, la mia memoria personale immersa in quella collettiva. È come se fossi un duo di artisti, uno si sente fiero di avere una famiglia e un passato alle spalle e di capire di essere nato nella capitale del mondo, l’altro è un orfano emarginato che pensa solo a come poter essere un pittore oggi. È da questa tensione e da questa alternanza di approccio che nasce tutto. Senza questa incertezza quotidiana sarei l’artista più noioso del mondo.
Cosa ha rappresentato per te il quadro di Gaetano Gandolfi del 1770, Studio per uomo con la barba?
È mio padre. Lo sa anche Gandolfi.
Figurazione e astrazione: quando finisce una e inizia l’altra?
Sono parallele per me. De Crescenzo scrive in un libretto leggero che parla di matematica e fisica: “Due rette parallele si incontrano in un punto all’infinito detto x quando oramai non gliene frega più niente”. Ve lo dico non perché cerco di unire figurazione e astrazione, che peraltro sono due parole che nella stessa frase mi fanno orrore, ma perché la frase di De Crescenzo forse può migliorare la mia risposta.
Come nascono i titoli delle tue opere? Penso, ad esempio, a Forced fuck while my mum makes lasagna del 2016 o a Una volta una donna mi disse: hai le mani di una donna del 2018.
Sono piccole poesie mal riuscite, canzoni mie o non mie. Sono parole che raccontano qualcosa, spesso parole che parlano di me, spesso di altri, qualche volta di nessuno.
Cosa rappresenta per te il lavoro in studio, e, più in generale, lo studio?
Lo studio è Dio.
Come sono nati i Paintings From the Old World presentati da 56 Henry a New York?
Volevo parlare di Roma attraverso un lavoro completamente astratto. Cosa c’è di più decaduto di Roma? Forse le decadenti camicie su misura realizzate da sarti del centro storico. Da questa risposta è nata una dichiarazione: “Dal vecchio mondo arriva un pittore che fa camicie con tele. Ma se non hanno le asole, si può ancora parlare di camicie?”.
Quali sono le tue fonti d’ispirazione? Letterarie, cinematografiche, musicali…
Non voglio cadere.
Ti sei anche cimentato come curatore. Parlaci di questa esperienza.
Non penso di aver curato niente in realtà, ho realizzato ‒ in una ero aiutato da veri curatori, ciao Ilaria [Gianni, N.d.R.], ciao Saverio [Verini, N.d.R.] ‒ mostre che avrei voluto vedere, con opere dei miei amici in luoghi che rispetto.
Hai supporti, tecniche o formati che prediligi? Ti sei misurato anche con materiali eterogenei come il bronzo o, come raccontavi prima, camicie…
E altri ne devo ancora provare. La mia indagine in profondità non credo avrà fine. I materiali complicano sempre tutto.
Hai affermato: “Per me dipingere significa educarsi ed educare a guardare le immagini immobili”. Cosa intendi?
Voglio che si dia un valore a ciò che non si muove. La nostra recente cultura premia le cose che si muovono veloci e questo spesso fa danni perché il progresso oggi non è più un concetto associato all’Umanesimo. Cosa c’è di più umano di un pittore?
La pittura è un fine o un mezzo?
È resistere.
Perché fare pittura oggi?
Perché è importante.
Cosa pensi della pittura italiana contemporanea?
Quando ho iniziato a mostrare il mio lavoro eravamo pochi e molti di noi pittori maltrattati.
Sono stato anche tra quelli maltrattati e le gallerie che mostravano pittori giovani erano considerate o commerciali o poco cool. Oggi è esattamente l’opposto e sono sinceramente contento. Ci sono bravi artisti in Italia che fanno pittura e oggi possono mostrare il proprio lavoro e forse anche guadagnare qualche soldo. Mi sento di essere stato uno degli apripista. Non cito nessuno, ma gli apripista sanno chi sono. E io li ringrazio perché, guardando loro resistere, ho resistito anche io.
‒ Damiano Gullì
Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
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Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
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Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
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