Come sarà il 2019 dei Musei italiani? Intervista a Cristiana Perrella, direttrice del Museo Pecci
Continua la nostra indagine sul 2019 dei grandi musei italiani. Tirando le fila dell’anno appena conclusosi e con qualche accenno a che cosa accadrà in futuro. Dopo le interviste a Lorenzo Balbi, Andrea Bruciati, Giorgio de Finis Letizia Ragaglia tocca a Cristiana Perrella del Museo Pecci di Prato
Come sarà la programmazione dell’anno 2019?
Aperta a molteplici linguaggi della creatività, a molteplici culture, a pubblici diversi ma sempre con un forte radicamento nella storia e nell’identità del museo e del territorio. Abbiamo in programma il re-enactment della storica performance “Che cos’è il fascismo?” di Fabio Mauri, che ha avuto luogo al Pecci nel 1993 e non è mai stata messa in scena dal 1997, e che continua il percorso di acquisizione delle performance nella collezione del museo. Poi “Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today”, una rassegna su design e architettura nella club culture dagli anni Sessanta a oggi prodotta dal Vitra Museum (con un focus su quanto i Radicali hanno fatto in Toscana). Poi i due progetti realizzati grazie al bando Italian Council del Mibac: “The Little Lantern” di Mario Rizzi e “Romanistan” di Luca Vitone, entrambi dedicati al racconto di storie e culture che oggi si vogliono far apparire sempre più diverse e distanti dalla nostra. Inoltre, un riallestimento della collezione intorno ai temi legati a un anno cruciale come il 1989, una mostra sul nuovo Piano Operativo di Prato, strumento urbanistico assolutamente all’avanguardia di cui la città si è dotata grazie alla collaborazione di personaggi come Stefano Boeri e Stefano Mancuso. E altro ancora, tra cui il programma del nostro cinema, tra rassegne e selezionatissime prime visioni, e quello musicale estivo, sempre più ricco, nel nostro teatro all’aperto.
Ci sarà spazio per la giovane arte italiana? Se sì, in che modo?
Fino a metà aprile abbiamo in corso Caleidoscopio, un workshop di fotografia e new media rivolto a giovani tra i 18 e i 29 anni, (anche questo finanziato da un bando Mibac) condotto da Mohamed Keita, un giovane, straordinario fotografo di origine ivoriana che si è formato e vive a Roma. Fino a fine gennaio è aperta al museo anche una sua mostra personale, inauguratasi nel 2018. Stiamo proseguendo poi la collaborazione con Fabrizio Prevedello, che ha esposto al Pecci l’anno scorso, di cui supportiamo il progetto di un intervento sul monte Altissimo, a Pietrasanta. Con i giovani italiani ci interessa soprattutto stabilire rapporti di collaborazione che di sviluppino nel tempo.
Su quali risorse contate?
Sul finanziamento del Comune di Prato, che è socio fondatore, e sul sostegno della Regione Toscana. I contributi pubblici previsti per il 2019 sono di circa 2.100.000. Ancora troppo minoritari (ma è un settore in crescita, su cui stiamo molto lavorando) i contributi di privati e aziende e l’autofinanziamento.
Un bilancio dell’anno che si è appena concluso?
Molto intenso, ho iniziato a porre le basi del mio lavoro al Centro Pecci velocizzando la sua totale riapertura, soprattutto per quanto riguarda gli spazi dedicati alla “quotidianità”: bar, sale didattiche, biblioteca. E il teatro all’aperto. Spazi che rendono il museo più accogliente, inclusivo, un luogo vivo, aperto, in grado di proporre molteplici linguaggi. Ho poi consolidato e dato un migliore riconoscimento all’ottimo staff del museo: ora siamo davvero un team notevole!
Che tipo di lavoro state svolgendo insieme?
Insieme abbiamo iniziato a lavorare per un Centro Pecci con museo plurale, che ospiti sguardi diversi. Abbiamo puntato su una presenza femminile forte, a segnare una discontinuità netta con un programma che in trent’anni non ha proposto nessuna personale di un’artista donna e una collezione che vede in questo senso una disparità troppo forte. Abbiamo tra l’altro appena acquisito, grazie alla generosità dell’artista, un’opera straordinaria di Aleksandra Mir, “Triumph”, un “paesaggio” fatto di circa 2600 coppe vinte da persone comuni in competizioni amatoriali. Abbiamo riallacciato i rapporti con l’Associazione Bruno Munari, che fondò e coordinò fino alla morte il nostro programma di didattica, e proponiamo i suoi laboratori storici, lavorando all’ attualizzazione del suo progetto. È stata infine potenziata la web tv del museo, coordinata da Alessandra Galletta: ora mettiamo online con regolarità materiali sulle mostre in corso e video del passato, restaurati e resi accessibili nella sezione “Pecci vintage”.
Dalla tua nomina sei riuscita a realizzare tutto ciò che ti eri prefisso? C’è qualcosa invece che vorresti riuscire a realizzare nell’anno che si sta aprendo?
Per essere qui da nove mesi, sono soddisfatta. Quello che vorrei di più per l’anno che inizia è la costituzione di una comunità intorno al museo, non semplici visitatori ma persone che considerano il Pecci un luogo che appartiene alle loro abitudini, in cui stanno bene e di cui riconoscono e sostengono il ruolo.
I più grandi pregi del tuo museo e i più grandi difetti.
Trovarsi in un territorio non centrale, che ha conosciuto negli ultimi due decenni grandi cambiamenti sociali, economici, politici, un vero laboratorio del presente da cui credo si possano intuire molte cose del tempo che verrà, nel bene e nel male. Il difetto che vedo è la mancanza di un’identità forte, qualcosa che faccia capire chi siamo e cosa facciamo con chiarezza. Ma ci stiamo lavorando.
–Santa Nastro
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