Io canto il corpo elettrico
Mostra fotografica
Comunicato stampa
Il prossimo 7 Febbraio alle ore 18 verrà inaugurata la mostra fotografica " IO CANTO IL CORPO ELETTRICO" delle artiste VERONICA MUNTONI - QUARTIERINO BLATTA - FRANCESCA RANDI a cura di SONIA BORSATO promossa dalla FONDAZIONE BARTOLI FELTER
Scrive la Curatrice:
piccola rassegna di potenziamento identitario
Il racconto del corpo è il demoninatore comune , il legante tra “Your eidetic body” del duo Quartierino Blatta, “Narrazioni anatomiche” di Veronica Muntoni, “I senza nome” di Francesca Randi.
Il racconto del corpo è una priorità, un'urgenza in un contemporaneo che ne sta ridefinendo forma e funzione, finalità e fantasia.
Su questo campo vibrazionale si attarda Io Canto Il Corpo Elettrico, furto benevolo operato ai danni di Walt Whitman per ipotizzare una lacerazione del confine identitario e una dispersione dell'io in un quotidiano smarrito che cerca di ridisegnare percorsi in un'erranza che non sia perdita ma infinita possibilità.
La pelle è il nostro ultimo confine. Oltre c'è il resto del mondo.
È un organo vastissimo questa epidermide che ci contiene, una landa mai abbastanza esplorata, che richiede cure costanti, sollecitazioni, narrazioni, magie.
Raccoglie l'Io e il suo tremore e lo protegge dall'Oltre. Un ruolo spesso sottovalutato.
È su questa labile soglia – tra pelle e pellicola, tra rivelazione e nascondimento – che si dipana la trama dei giorni, il racconto di vite che, spesso insospettabilmente, non confluiscono in compartimenti stagni e colano fuori da claustrofobici giochi di ruolo.
È proprio strappando questa membrana – immaginaria in tempi di digitale ma anche carnale, in un certo senso – che si arriva all'autenticità del sentire.
ICICE si affida al potere della fotografia, una autorità interamente racchiusa nella fiducia che le fotografe vi attribuiscono: quella della ricostruzione del quotidiano, dell'alterazione totale dell'immaginario. Un potere quasi sciamanico di alterazione della realtà mettendo in scena corpi che sono elettrici non perché associati al progresso – che sarebbe davvero un concetto demodé – ma perché sollecitati dal sentire, attraversati da una corrente di autenticità che li rende pericolosi. Un corpo che entra in scena. E racconta la sua storia. Ed è potente in questa franchezza.
Il collante è un insieme di figure cangianti, un consapevole e paradossale effetto di scucitura, perché i tre percorsi – quartierino blatta, Veronica Muntoni e Francesca Randi - non si interfacciano in nessun momento rimanendo separati, distanti, netti.
Eppure qualcosa di segreto, di prezioso, viene rivelato e concesso, condiviso e regalato. Attraverso la fotografia un nuovo corpo viene toccato e definito, laterale e alternativo, perturbante e autonomo, nel tentativo di ri-conoscersi oltre la narrazione che è quella convenzionale, istituzionale. Tutto ciò che è scomodo, disturbante, non guardato viene invece accolto e metabolizzato.
Del resto, come scriveva lo psicanalista Didier Anzieu, essere se stessi «vuol dire in primo luogo avere una pelle per sé e in secondo luogo servirsene come di uno spazio in cui collocare le proprie sensazioni».
Lo spazio della visione condivisa.
Irresistibilmente attratto da un universo antigrazioso, quartierino blatta si affida alla stratificazione di riferimenti letterari, poetici e cinematografici lasciando emergere una tessitura narrativa dove reale e onirico si intrecciano saldamente. Tra pelle rivelata e stoffa che nasconde, il corpo si espone allo sguardo rappresentando l'implicito, il non detto, più vero del vero. Qb usa la fotografia, quasi intrappolata in un senso di ri-flessione sulla caducità e transitorietà delle cose e delle vite, per scandagliare la notte della coscienza, che è poi la parte più fertile e interessante dell'essere umano.
La sensualità dell'infanzia, la mutazione del corpo dopo l'amore e la vita, l'imperfezione esasperata... tutto ciò di cui si parla controvoglia esplode nelle fotografie di Veronica Muntoni che diventano un atto di comprensione, accettazione e esaltazione delle infinite trame dell'esistere. Il bianco e nero – sua cifra stilistica – non è sinonimo di opposizione, di giusto e sbagliato, ma un bagno materico in cui sembra di perdersi, come in una ballata dal ritmo lento e malinconico.
Francesca Randi fa sfilare i personaggi della sua personalissima filmografia emotiva, L'elegante solitudine che è ormai una costante del cinema metropolitano trova in questi scatti una soluzione, il radicamento nelle arterie cittadine che di notte palpitano di vite segrete, insospettabili, singoli protagonisti, quasi sempre perfettamente centrati nell'architettura di un sogno, percorrono una città inespressa, irrisolta, segreta. Donne, uomini, bambini dominano una periferia che oscilla tra sogno e realtà, in quella porzione in tecnicolor che palpita prima dell'alba, prima che gli occhi si riabituino al ritmo del produttivo e del socialmente accettabile. Una piccola rassegna di potenziamento identitario. Non un grande percorso, alla fine, ma solo un mettersi in gioco, un voler uscire dal solco tracciato e ascoltare pulsioni e battiti che premono all'oggi. Perchè, come avrebbe detto Susan Sontag, fare fotografia significa partecipare della vulnerabilità e della mutabilità. Tutto il resto è vanità.
Sonia Borsato