Marco Maria Zanin – Arzanà
Le opere di Marco Maria Zanin, come di consueto, nascono dalla riscoperta di un giacimento nascosto, di un patrimonio poco conosciuto, parte della cultura popolare di un territorio. Spesso sono piccoli musei, archivi di oggetti di uso quotidiano, che diventano la porta di accesso per accedere a un orizzonte di significati appartenenti a temporalità del passato ancora ricche di potenzialità.
Comunicato stampa
“Arzanà” è il termine che Dante nella Divina Commedia usa per l’antico Arsenale di stato Veneziano, ma è anche il nome di un’associazione non-profit, con sede a Venezia, che si occupa dello studio, del restauro e della conservazione delle imbarcazioni tradizionali della laguna di Venezia.
Le opere di Marco Maria Zanin, come di consueto, nascono dalla riscoperta di un giacimento nascosto, di un patrimonio poco conosciuto, parte della cultura popolare di un territorio. Spesso sono piccoli musei, archivi di oggetti di uso quotidiano, che diventano la porta di accesso per accedere a un orizzonte di significati appartenenti a temporalità del passato ancora ricche di potenzialità.
Dopo una fase di indagine tra diverse realtà che sono espressione di un’identità culturale veneziana lontana dagli stereotipi legati al turismo, Zanin decide di soffermarsi sulla collezione di oggetti dell’associazione Arzaná, per operarne una rilettura.
Nella mostra questi “oggetti” vengono interpretati attraverso la fotografia e la scultura facendo dialogare il loro contesto di provenienza con altri, propri di culture lontane o di un universo inesistente, immaginario, che lascia aperte associazioni volontarie: alcune forcole, i supporti della barca in cui si appoggia il remo durante la navigazione, diventano maschere e oggetti di culto; altri oggetti usati per la navigazione si trasformano in idoli totemici o assumono forme antropomorfe. Anche il modo in cui le opere vengono disposte nella mostra si allontana da quello tipico di un museo etnografico, e collide con l’universo dei reperti archeologici di popolazioni indigene.
L’operazione da un lato opera una ‘sacralizzazione’ dell’oggetto comune, dall’altro lo svuota della sua funzione per estenderne il significato, associandolo a contesti appartenenti ad altre culture e facendolo sparire come oggetto etnografico quando, attraverso una sua trasfigurazione, diventa totalmente finzionale.
L’artista vuole ‘diseducare’ lo sguardo abituato a riconoscere quelli come oggetti con una determinata funzione, o come oggetti in disuso, di poco valore. La loro non riconoscibilità è il necessario momento per creare spazio dove il nostro giudizio, la nostra abitudine a classificare, ha causato una distanza tra il nostro mondo e quello di chi li ha usati e fabbricati. Una strada, paradossalmente, per avvicinarcisi di nuovo.
La mostra ha anche costituito l’opportunità per attivare delle partnership sul territorio, tra cui quella con l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, e in generale per coinvolgere un pubblico più giovane e trasversale che ci si augura riesca a vedere con uno sguardo rinnovato anche il patrimonio che l’associazione Arzaná preserva.