Nora Lux – V.I.T.R.I.O.L.U.M. IV
Il Volume Rosso del MACRO diventa teatro dell’ultimo atto di un’azione performativa di Nora Lux.
Comunicato stampa
Il Volume Rosso del MACRO diventa teatro dell’ultimo atto di un’azione performativa di Nora Lux
9 febbraio 2019 ore 20.00 | Area Incontri - Foyer MACRO | Via Nizza 138 - Roma
Sabato 9 febbraio 2019 alle ore 20.00, presso l’area incontri e foyer del MACRO Museo d’Arte Contemporanea di Roma, Nora Lux presenta l’ultimo atto del progetto V.I.T.R.I.O.L.U.M. IV - Visita Interiora Terrae Rectificando Inveniens Occultum Lapidem Veram Medicinam_Visita l’interno della terra, e rettificando troverai la pietra nascosta che è la vera medicina, a cura di Lorenzo Canova.
Il progetto V.I.T.R.I.O.L.U.M. è iniziato nel 2017 con la prima fase, Nigredo, durante la quale Nora Lux ha affrontato per la prima volta un’azione performativa insieme ad un animale vivo, un corvo imperiale, e all’interno di uno spazio delimitato, la Galleria di Giancarlo Carpi e Raffaele Soligo. L’animale, per l’artista, è saggezza istintiva, capacità di capire, ascoltare ed osservare entrando in relazione con la parte magica del nostro io e simboleggia, pertanto, l’anima. La seconda fase, l’Albedo, a cura di Francesca Pietracci, ha visto come scenografia della performance gli ambienti di Palazzo Falconieri, presso l’Accademia Ungherese di Roma: un’azione poetica, di grande forza visiva, nella quale l’artista ha interagito con un pavone bianco. Una terza fase è stata presentata presso la Casa dell'Architettura di Roma con la collaborazione di Luisa Valeriani.
Per l’ultima fase del progetto, Nora Lux sceglie il volume rosso del MACRO progettato da Odile Decq, rappresentazione di un vaso contenitore, un alambicco, un utero, Rosso Rubedo, ultima fase dell’Opus Magnum, associato al Sole, al fuoco e allo spirito: in questo luogo, dalla forte connotazione simbolica, sarà l’aquila ad interagire con lo spazio e l’artista stessa. Così il colore rosso è immagine della vita e della generazione, mentre l’aquila, unico rapace capace di fissare il sole, è l’elemento che giunge al centro spirituale, l’omphalos.
“Alla fine di un lungo viaggio iniziatico segnato dalle figure fatali del corvo e del pavone, Nora Lux ha superato le tenebre della putrefazione, la notte oscura del sepolcro, i raggi tenebrosi del Sole Nero, ha viaggiato verso l’aurora del pavone bianco, ha visto i primi lucori dell’alba mistica, ha trasmutato la propria essenza fisica e ha trovato, infine, un centro definitivo, segnato dalle ali di un’aquila diretta verso il sole rosso della meta finale, verso il suono della completezza del Sé, in attesa di ricominciare un nuovo percorso circolare dentro e al di là del tempo.” (Lorenzo Canova)
Nel tacito echeggiare, discesa e risalita, morte e rinascita, sangue e terra, sacrificio e concepimento, Nora Lux compie la sua decennale riflessione sul corpo femminile vissuto come luogo di passaggio tra umano e profondità ctonie; in ogni scatto fotografico, in ogni performance, la divinità femminile primordiale è presente attraverso il suo stesso corpo di donna che può mutare come Panfile (Metamorfosi, III, 21-22). L’artista, nel presentare esposizioni e performance, dà vita ad un unico percorso interiore ed estetico, costituito da mutamenti, ANIMAlità, passaggi in continuo divenire, nel quale il Suono, che ha origine dal movimento, completa e suggerisce visioni, trasforma il pensiero e permette di non cedere alla macchina del consumo e delle continue esibizioni da social network.
L’azione performativa sarà accompagnata da un brano di Roberto Laneri, registrato in frequenza theta: le onde cerebrali theta, la cui frequenza è tra i 4 e i 7/8 Hz, sono proprie della mente impegnata in attività di immaginazione, visualizzazione, ispirazione creativa; tendono ad essere prodotte durante la meditazione profonda, il sogno ad occhi aperti, la fase REM del sonno, mentre nelle attività di veglia sono il segno di una conoscenza intuitiva e di una capacità immaginativa radicata nel profondo.
A conclusione della performance e fino alle ore 22.00, il live set di Fabio Sestili che selezionerà brani ispirati alla performance, utilizzando suoni di strumenti musicali di rituali antichi registrati dalla stessa Nora Lux.
Quando la rota, che tu sempiterni
Desiderato, a se mi fece atteso ,
con l’armonia che temperi e discerni
parvemi tanto ,allor ,del cielo acceso
De la fiamma del sol ,che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso .
La novità del suono e l grande lume
Di lor cagion m’accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume.
(Paradiso I, 73 – 84)
Nora Lux. Il mio è un dialogo tra corpo femminile e il suo elemento che caratterizza la Natura, la matrice sulla quale poggia la Creazione e su cui la creatività può agire plasmando, attraverso la prima materia, il Sole. Come una donna Sacerdotessa al contempo officiante e sacrificio, così sacrifico la mia stessa immagine nell’opera. È la tecnica dell’autoscatto che mi accompagna da 15 anni insieme all’elemento Terra e alle sue grotte che diventano luoghi di passaggi ctoni, simbolo di profondità dell’inconscio, di metamorfosi ancestrali, terra serrata nel dialogo tra il chiuso e il vuoto, come il corpo femminile è concluso nel dialogo tra luce e ombra, e l’utero nel confronto ciclico tra morte e vita. Nelle grotte, nelle necropoli etrusche, nelle vie cave, luogo del ritorno del tempo e di rispecchiamento di terra e cielo, di capovolgimento fisico degli elementi, le macchie delle pietre si allungano in parallelo sul mio corpo come una discesa agli inferi materni, in una riappropriazione delle profondità in chiave positiva, terricola. Ritorno negli stessi luoghi a distanza di pochi anni e sono di fronte all’immutabilità e alla radicale diversità di un paesaggio che è soprattutto magico-emotivo: la grotta è la stessa, ma questa volta il mio corpo è come assorbito e intrappolato, il mio corpo che anni prima si era collocato iconicamente al centro di una scena adesso è ridotto a un balugino fuggevole. La grotta che prima era silenzioso oggetto di una manifestazione epifanica, con lo scorrere del tempo è diventata essa stessa corpo vibrante con la sua porosità e cavità, le stesse porosità e cavità di un corpo umano, di un’anima umana. Seguo le ferite e le irregolarità, come fossero informazioni del mio corpo del mio vissuto in un dialogo tra l’infero e la luce, con la mia ombra, tra ciò che sprofonda e ciò che riaffiora.mUna vocalità eterna impregna questa roccia, la GRANDE DEA, e tale vocalità viene liberata dal mio occhio diaframma autonomo, e dal mio corpo , restituendo voce al tempo, forma al peso dei ricordi ancestrali di cui è impregnata la grotta, luogo dell’anima prima di qualunque anima umana, sacello di una divinità cancellata dai secoli umani eppure viva negli sprofondi. Nel tacito echeggiare di discesa e risalita, di morte e rinascita, di sangue e terra, sacrificio e concepimento. Luoghi di perdita e di riconoscimento di sé, del mio corpo di donna come labirinto-caverna iniziatica, ma soprattutto del mio essere, dell’insopprimibile, indicibile confronto tra la morte e la vita, tra il noto e l’ignoto cui ogni uomo è chiamato. Per me ritornare nei luoghi della mia opera vuol dire far rinascere l’emozione della prima volta in cui ho vissuto quei luoghi e al contempo posso metabolizzarne il cambiamento, assumerlo su di me artisticamente e fisicamente, imprimerlo nel mio corpo prima ancora che nell’obiettivo. La scelta dell’autoscatto rende ancora più incisivo questo lavoro sul tempo ciclico, sul corpo come luogo terreno: come è cambiato il corpo, così è cambiato il luogo, perché entrambi composti di terra e vita. La fotografia può fissare l’eterno. Il mio proposito è più ambizioso: vorrei non fissare ma lasciare scorrere, permettere al tempo di passare, non fermarlo e dominarlo ma creare con esso e su di esso. Guardare la mie foto significa anche inserirsi in un dialogo al femminile, ripercorrendo il lavoro svolto sulla Dea Madre secondo gli studi di Maria Gimbutas e Erich Neumann.