Alessandro Mendini, il postmoderno. Il ricordo di Renato Barilli

Il critico bolognese ricorda l’amico da poco scomparso. Celebrando la sua passione per il colore e per gli aspetti “popolari” della disciplina progettuale.

Un altro Grande Vecchio, Alessandro Mendini, ci ha lasciato, e dunque per noi poveri ultra-ottuagenari la campana suona sempre più imminente, assordante, invitandoci a una massima solidarietà reciproca. Del resto, ci vuol poco a dire le lodi di Mendini, basta prendere in filigrana un termine pur accusato da molte parti di essere ambiguo e fuorviante, come quello di Postmoderno. Ma Mendini lo ha incarnato nel modo più integrale e completo, anche a nome di tutta la nostra cultura architettonica, che a ben vedere del “moderno” non ha mai potuto fregiarsi appieno, anche se con un Terragni e altri ne ha saputo dare prove egregie.
Ma è sempre stata più presente presso di noi una linea alternativa, di sfida ai rigori del Bauhaus e fenomeni affini, o di confutazione del detto impietoso pronunciato da Adolf Loos secondo cui l’ornamento è un delitto. Questo fronte oppositivo è partito da lontano, dalla magnifica coppia Balla-Depero, e poi è passato in eredità a Gio Ponti, infine è stato ripreso in pieno proprio da Mendini, magari da vedere in stretta colleganza con un suo antagonista o compagno di via quale Ettore Sottsass Junior, in una feconda spartizione di responsabilità.

Alessandro Mendini, Shama, 1994 - installazione al Groninger Museum, Groninga - photo Christian Richters

Alessandro Mendini, Shama, 1994 – installazione al Groninger Museum, Groninga – photo Christian Richters

COLORE E QUOTIDIANITÀ

E allora andiamo a vedere. Proscrizione del colore a favore di un funesto bianco e nero? No, al contrario, il colore è vita, è anima delle cose. Fare grande, come vorrebbero le archistar? No, nel piccolo c’è il nostro bene, nelle ville che si assiepano, si sommano, fanno grappolo come vivaci polipai, c’è una ricetta valida. E soprattutto, guardiamoci bene dal condannare il kitsch, il “cattivo gusto”, che invece è prodigo di sorprese e di compensi.  Oggi dilaga la polemica tra “popolo” ed élite, ebbene, per questo verso Mendini si sarebbe dichiarato favorevole alle scelte “popolari”, quelle che non si abbandono a divieti, a rigori esosi, restrittivi. Bisogna in primo luogo procedere ad accontentare i sensi, a saturarli, a offrirgli un ampio pasto.
Il che significa anche coltivare una scala continua, partendo magari dal piccolo di dimore che devono essere confortevoli, adatte alle nostre esigenze, non fermandosi lì ma procedendo ancora più in giù verso gli utensili quotidiani. Una caffettiera, un servizio di posate pongono gli stessi problemi che vengono da edifici a volte troppo grandi, col rischio di essere fuori scala, rispetto alle esigenze più vitali. E se all’interno delle nostre stanze esiste un nido protettivo, questo è dato proprio dalle poltrone, che non devono essere rigide, spigolose, scheletriche, ma soffici, confortevoli, pregne di memorie, pronte ad accoglierci, a fornirci un confortevole viaggio nelle memorie, del privato e del pubblico. Questi i fini per cui Mendini si è sempre battuto, nell’ambito del suo Studio Alchimia, o alla testa delle prestigiose riviste che di volta in volta ha diretto. Io in particolare gli devo essere grato per essere stato accanto a me nell’attribuire ogni anno un premio in ricordo di Francesca Alinovi, che del resto generosamente aveva accolto come collaboratrice nelle sue pubblicazioni.

Renato Barilli

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Renato Barilli

Renato Barilli

Renato Barilli, nato nel 1935, professore emerito presso l’Università di Bologna, ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso DAMS. I suoi interessi, muovendo dall’estetica, sono andati sia alla critica letteraria che alla critica d’arte. È autore…

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