Frieze Los Angeles: prima edizione della fiera in California. Un report
Siamo stati a Frieze Los Angeles, la versione californiana della fiera inglese. Ed è subito cinema
Si è svolta dal 15 al 17 febbraio Frieze Los Angeles, la prima edizione della fiera inglese trapiantata a Los Angeles (Artribune ne ha parlato lungamente qui) e, ovviamente, non sono mancati i vip del cinema ad affollare la giornata inaugurale fissata in un piovoso San Valentino. Abbiamo avvistato Brad Pitt, Sylvester Stallone, Jodie Foster e Leonardo di Caprio con il consueto il cappuccio della felpa calato sulla testa, mimetizzato tra gli appassionati d’arte.
IL PADIGLIONE ESPOSITIVO
L’edizione inaugurale di Firenze a Los Angeles è partita con 70 gallerie raccolte in una grande tenda-padiglione. Né tante, né poche, ma il numero giusto, una taglia gestibile per una prima edizione. Molte le gallerie emergenti, sovvenzionate dal governo per sostenere i costi degli stand accanto a colleghi dai nomi più noti. A Bettina Korek, curatrice ufficiale, il compito di far funzionare il tutto e scegliere i migliori per il lancio di una edizione rischiosa. Molte le gallerie da Londra (Lisson, White Cube, Mauren Paley) e New York con l’immancabile Gagosian, molte le giapponesi e tre le italiane, Franco Noero di Torino, Massimo de Carlo e Kaufmann Repetto entrambe di Milano (anche se De Carlo conta spazi anche a Hong Kong e Londra). Il padiglione tutto bianco, progettato da Kulapat Yantrasast di wHY Architects, occupa una sorta di grande vasca, invaso predisposto ad “allagamenti cinematografici”.
FRIEZE PROJECTS AL BACKLOT: TINO SEHGAL, NEW YORK E GLI ALTRI
Frieze Projects è la vera rivelazione dell’edizione losangelina. Si svolge fuori dal padiglione espositivo, tra le strade finte di una New York di inizio secolo, ambientata tra gli Stages degli Studios Paramount. La curatrice, Ali Subotnick ha invitato gli artisti ad ispirarsi al mondo del cinema e alla città immaginaria, con ambientazioni urbane nel Backlot degli Studios. Eccellente la proposta di Tino Sehgal “This is a competition” che mette in scena un dialogo alternato e composto tra due suoi galleristi che cercano di vendere una sua opera. E poi i suggerimenti della Kruger, incollati a terra per strada – del tipo “chi scriverà la storia delle lacrime?”-. Oppure l’appuntamento con Lisa Anne Auerbach che fa la psicologa dell’arte, per suggerire a chi acquista se l’opera scelta è davvero quella che fa per lui. E “One Square Club” il club di un metro quadrato di Tom Pope con dentro musica, quest’ultimo presentato dalla Deutsche Bank: champagne e giochi in esclusiva, un progetto che irride all’esclusività dei club e al folle prezzo al metro quadro degli appartamenti di lusso a Londra. Nelle case fantasma, finte ma perfette, il cinema diventa arte e l’arte entra nel cinema, in una dimensione stranamente reale, grazie alla verità delle persone che ne realizzano la fusione.
LA FIERA IN CITTÀ
La città ha risposto organizzandosi in piccoli circuiti d’arte che solo a pensarci sembrava impossibile. Ben 12 gli itinerari, tutti rigorosamente imperdibili, organizzati per lasciar l’auto e inanellare liste di 8/10 stop tra gallerie, musei, e luoghi dove fermarsi per conferenze, incontri e musica. Che dire della provocazione del Brutally Early Club, proposta da Klaus Biesenbach con Hans Ulrich Obrist alle 6 del mattino al MOCA Museum Of Contemporary Art, frequentatissima sul posto e seguitissima dal letto di casa nelle dirette Instagram.
FEBBRAIO, IL MESE DELL’ARTE A LOS ANGELES
Contemporanea a Frieze, nelle camere rinnovate del Roosvelt hotel, apriva la tre giorni della fiera FELIX, sull’onda vintage delle mostre anni ’90, organizzate nelle camere di vecchi, fantastici hotel. L’obiettivo è creare nuove esperienze più informali e dirette tra collezionisti, galleristi e artisti, con uno sguardo al Gramercy International che si teneva allo Chateau Marmont. I corridoi erano strade in cui incrociare persone e chiacchierare, e le stanze dei mini living dove far salotto, ma d’autore.
– Emilia Antonia De Vivo
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