Tomaino – Mediterraneo
La galleria ME Vannucci presenta l’ultimo lavoro di Giuliano Tomaino dedicato al Mediterraneo.
Comunicato stampa
La galleria ME Vannucci presenta l’ultimo lavoro di Giuliano Tomaino dedicato al Mediterraneo.
I suoi dipinti hanno il carattere dell’immediatezza, sono opere realizzate con i colori sbiaditi della sciacquatura dei pennelli, ma anche grandi tele rosse dove appaiono imbarcazioni in navigazione. Al centro dello spazio espositivo, una grande casa di cartone, metafora di accoglienza e ospitalità.
Quella casa è la casa di tutti noi, popoli che si affacciano su quel mare che da sempre evoca bellezza: il Mediterraneo, simbolo di sole, profumi di pane fresco e cibo speziato, pesce azzurro che cuoce su una griglia, musica, danze e millenarie culture.
Pensare al Mediterraneo come territorio d'appartenenza, sentirsi cittadini del Mediterraneo, rappresenta senza dubbio un punto di partenza per comprendere la storia passata, contemporanea e futura, ed è inequivocabilmente il modo migliore per generare un racconto comune e nuovo del continente liquido, come lo chiama Braudel. Guardare gli altri per guardarci allo specchio.
Le barche di Tomaino sono archetipi della condizione umana, in continuo viaggio nella storia, fatta di migrazioni di popoli in cerca di pace e di mondi migliori in cui vivere e costruire il proprio futuro.
Ma sono anche il simbolo della tragedia che è costantemente sotto i nostri occhi in questi ultimi anni: il Mediterraneo – originaria fonte di vita – diventa pietra tombale per i molti che si avventurano nel silenzio delle sue acque per fuggire da un destino di povertà e miseria.
“La tragedia che avviene nel mare dura pochi secondi, non rimane traccia” afferma l’artista.
Le porte del Mediterraneo
Lorenzo e Simone Cipriani
Nei secoli passati le culture occidentali che si affacciavano sul Mediterraneo, chiamavano Zefiro il vento di Ponente, quello che viene dal mare. Già per gli antichi greci era un vento favorevole: iniziava a spirare in primavera e portava il bel tempo. Zefiro è stato per secoli il vento propizio ai commerci, perché era per suo mezzo che si traversava il Mediterraneo riportando beni materiali, conoscenze e nuove idee dai lontani paesi d’Oriente. Era la sua forza a spingere le cocche mercantili medievali di ritorno verso casa.
Leonardo Fibonacci, figlio di un mercante della repubblica marinara di Pisa, portando i numeri arabi nel mondo occidentale, agl’inizi del XIII secolo, latinizzò l’arabo sifr, ossia vuoto, in zèphyrum; che in italiano divenne zefiro, poi zefro e infine zero, il numero che rivoluzionerà la cultura matematica di tutto il mondo.
Zefiro è anche il vento vivificatore delle filosofie rinascimentali neoplatoniche, come appare nella Primavera e nella Venere di Botticelli: un vento rinnovatore, portatore di nuove culture e di buone speranze.
Il Mediterraneo è traversato da un reticolo di invisibili vie tracciate dalle rotte percorse nel corso della storia. Negli antichi portolani si vedono ancora queste linee che uniscono i vari porti della costa, avamposti di culture diverse, connessioni fra modi di pensare diversi, fra mondi diversi. Sono linee che attraversano confini culturali come quella cerniera, descritta da Fernand Braudel, che dal canale di Otranto attraverso la Sicilia arriva fino in Tunisia: da una parte l’Oriente, dall’altra l’Occidente. O come quelle vere e proprie “porte marine” (per usare ancora un concetto di Braudel) che ci si trova a varcare fin dall’accesso di Gibilterra: lo stretto di Messina, i Dardanelli e il Bosforo, le Bocche di Bonifacio. Ogni marinaio sa che c’è un solo modo per traversarle, è necessario attendere la giusta corrente e il vento favorevole.
Si può pensare il Mediterraneo in tanti modi, innanzitutto secondo il suo significato etimologico di mare che sta in mezzo alle terre: ovvero come madre di tutte le culture che vi si affacciano, le cui acque hanno generato e cullato civiltà diverse, secondo l’antica teoria che vede questo mare come luogo infinitamente fecondo, capace di rinnovare costantemente la vita.
Oggi le rotte del Mediterraneo sono ancora attraversate da ogni genere di commerci, legali e non, ma anche da un numero inedito di migranti e profughi. La geopolitica di questo spazio è cambiata, non è più incentrata su un polo forte, l’Europa, che traina la riva sud e interagisce con la riva est. Si sono affacciate sul Mediterraneo potenze nuove, che hanno obiettivi diversi. L’invasione dell’Irak nel 2003 e le primavere arabe del 2011 hanno dato la stura a un rivolgimento generale. Sono comparsi Russia e Iran, portati verso il mare dal conflitto siriano. La medesima guerra ha ridisegnato anche la presenza regionale della Turchia, in via di abbandono della propria identità laica, e di Israele, sempre più sulla difensiva e pronto a stringere allenze a tutto campo. Vi sono poi
Arabia Saudita, ed Emirati Arabi, con l’Egitto dei militari, mobilitati per contrastare l’influenza dell’Iran sciita, ma anche dalla paura che alcuni paesi della riva sud possano cadere in mano al mondo dei Fratelli musulmani, più o meno apertamente sostenuti in tutta la regione dal Qatar.
Inutile negare che il mondo dell’estremismo islamico ha molto contribuito a questi rivolgimenti. Le organizzazioni legate alla galassia al-Quaeda e l’esperimento criminale ISIS hanno sconvolto vaste regioni, dal Medio Oriente (Siria e Irak) sino al Sahel ed alla sua porta di affaccio su questo mare: la Libia. Sono legati anche alla loro presenza gli sforzi di attivismo diplomatico, militare e commerciale di gran parte degli stati citati sopra.1
Così mentre gli USA sembrano impegnati in un ripensamento della propria presenza, il Mediterraneo è piu affollato che mai. Il che implica anche relazioni nuove sul piano economico con lo sviluppo di nuove reti di interscambio commerciale e di investimento. Paesi come Iran, Turchia, con le monarchie del Golfo, sono divenuti soggetti economici importanti con ruoli di primo piano in Tunisia ed Egitto. Le fondamentali importazioni di viveri e derrate alimentari per i paesi della cosiddetta Riva Sud, tradizionalmente di provenienza Europea, adesso sono di origine russa, ucraina o statunitense. Sul piano degli investimenti, poi, alcuni degli attori geopolitici di cui sopra si muovono con enorme attivismo in aree radicalmente nuove: il primo investitore in Tunisia, per limitarci a questo esempio, è adesso il Qatar (era la Francia fino a non molto tempo fa). Va detto che negli investimenti, si scorge anche il ruolo della Cina, che spunta dall’Africa come costruttore di infrastrutture e soggetto economico interessato ad assicurarsi accessi permamenti a serbatoi di materie prime alimentari e non.
Insomma, il Mediterraneo è più che mai un calderone. Per di più, oggi, come dicevamo, è attraversato anche da una grande massa di migranti e profughi di vari conflitti. Molti migranti arrivano da un’Africa Sub- Sahariana giovanissima, dove l’età mediana – quella che divide a metà la popolazione - è attorno ai 20 anni (tanto per evere un’idea, in Italia è vicina a 45 anni) e dove non ci sono prospettive di lavoro, né di cambiamento sociale. Dal Sahel, una vasta regione che comprende diversi paesi dell’Africa occidentale e centrale , dove una serie di stati profondamente indeboliti nelle proprie istituzioni e a volte sull’orlo del fallimento vengono minacciati da terrorismo, da conflitti interetnici e/o sfruttamento locale e internazionale (chi sfrutta si allea su scala globale, anche se si trova da lati diversi delle frontiere : la corruzione è veramente internazionale), la gente scappa. Questi stati non offrono una vita ai propri cittadini, non danno prospettive di realizzazione del proprio capitale umano, spesso nemmeno di mera sopravvivenza. Alcuni, in Africa Occidentale, rischiano di divenire una specie di Afghanistan, permanentemente sconvolti da ogni genere di conflitto, tanto è vero che c’è chi questa regione la chiama Sahelistan o Africanistan. La migrazione, in questo scenario, è ricerca di un ambiente sociale e politico stabile, ove ci si possa impegnare nello sviluppo del proprio potenziale come persona. Insomma, in mancanza di prospettive a casa, qualcuno cambia e parte. Spesso è una scelta a livello di famiglia, di comunità: ci si tassa (a volte si fa una specie di lotteria, la tontine, nata in Francia secoli fa e inventata da un italiano di
nome Tonti...) per inviare un migrante in Europa, in cerca di fortuna. Anche pochi euro ricevuti di quando in quando dall’estero, faranno la differenza. Quando chi scrive ha trattato con alcuni migranti, giunti da poco in Italia e senza molta speranza di rimanervi, per proporre un rientro assistito in Africa incentrato su un buon lavoro e relativa dignità, ha sentito rispondersi: “ci sto, ma devo prima chiedere a casa”. Ed è logico: se a casa hanno fatto l’investimento, devono essere sicuri che il tramite di questo investimento non sprechi tutto.
E, in definitiva, non è strano che il Mediterraneo sia questo calderone. Storicamente è il mare delle identità e delle visioni del mondo che si incontrano e si arricchiscono. Per fare un esempio, pensiamo all’Islam e al mondo arabo: c’era un tempo in cui gli arabi erano in Europa e la civiltà fioriva. In questo mare ci sono sempre stati tempi di scambio e di chiusure. Sempre si sono alternati. Ma oggi si muove tutto in un mondo molto più complesso: adesso è impossibile arrestare lo scambio, è impossibile chiudere.
Gli Stati nazione che si sono formati attorno al Mediterraneo risentono dell’illusione romatica di un popolo con la sua lingua, con la sua cultura e col suo stato. Queste identità fisse in verità non sono mai esistite. Non viviamo in stati nazione monoculturali, monolinguistici, monoreligiosi. Se andiamo a esaminare il nostro DNA, siamo discendenti di popoli e storie diverse. E’ buffo che in un epoca in cui si può tracciare il DNA, ci siano persone convinte di discendere da un unico tipo umano, da un’unica storia. Non è mai vero. Se vogliamo vivere bene in questo Mediterraneo, bisogna saper ripensare l’identità come un qualcosa di aperto e in evoluzione. Altrimenti, perché i fondamentalismi dovrebbero aprirsi all’altro e scomparire? Se tutti restiamo come siamo, non ci sarà mai cambiamento: saremo sempre in guerra con chi crede che esista una sola verità.
Bisogna cominciare a dircelo apertamente: chi crede nelle identità fisse fa come Medusa, rende di pietra tutto ciò che guarda. Ma vogliamo davvero renderlo di pietra, tragicamente immutabile e dedito al conflitto, questo nostro Mediterraneo?
Queste riflessioni accompagnano la mostra di Giuliano Tomaino dedicata al Mediterraneo per la galleria ME Vannucci. L’artista sarzanese, legato indissolubilmente al mare, presenta lavori unici realizzati per questa occasione come testimonianza di una riflessione che guarda alla storia e al mito, ma anche all’attualità del Mare Nostrum. Una visione profonda che ci invita a pensare secondo prospettive diverse, mediante semplici figure ancestrali o immagini simboliche che hanno la capacità di evocare memorie del passato e visioni del nostro presente.
1 Burkina Faso, Mali, Niger, Gambia, Mauritania, Senegal, Guinea Bissau, Sudan, Chad e Eritrea – legati però da fattori geografici e politici anche a parti di Benin, Camerun, Nigeria, Guinea, Etiopia.