Palermo dopo e oltre Manifesta. Intervista all’ex assessore alla Cultura Andrea Cusumano
Ha rassegnato le sue dimissioni per dedicarsi alla sua attività di artista e drammaturgo, dopo 4 anni di assessorato che hanno visto Palermo sotto i riflettori dei media internazionali. Andrea Cusumano fa un bilancio del suo operato, racconta i suoi auspici per la città e dà alcuni consigli al suo successore
“Gli obiettivi più importanti raggiunti sono di carattere amministrativo, come la riorganizzazione del sistema cultura e degli uffici, la maggiore efficienza nella programmazione e le sinergie con le istituzioni culturali per il rilancio internazionale della città. Il lavoro da fare ancora è tanto, ma la strada è quella giusta”. Con queste parole, nel 2016, Andrea Cusumano raccontava ad Artribune i primi due anni da assessore alla Cultura del Comune di Palermo: una strada in salita, ma con obiettivi chiari e importanti, uno tra tutti prepararsi al fatidico 2018, anno che ha visto il capoluogo siciliano impegnato nel doppio ruolo di Capitale Italiana della Cultura e città ospitante della 12esima edizione di Manifesta, la biennale d’arte contemporanea itinerante conclusasi lo scorso novembre che ha scelto Palermo come sede della grande mostra diffusa Il Giardino Planetario. Coltivare la coesistenza. Un assessorato, quello di Cusumano, che si è contraddistinto per lo sguardo lucido volto alle dinamiche geopolitiche del mondo attuale, in linea con la visione dell’amministrazione della città in termini di dialogo, accoglienza, migrazione e diritti umani. Ma anche un assessorato intenso, che si è contraddistinto per la vivace programmazione culturale, finalmente di respiro internazionale, fatta di mostre, festival, e persino una nuova manifestazione, BAM – Biennale Arcipelago Mediterraneo. Un assessorato che, però, è giunto al termine: risalgono a pochi giorni fa infatti le dimissioni di Cusumano, che è “entrato in Giunta da tecnico e che da tecnico ho inteso uscire”, come ci ha spiegato in questa lunga intervista, occasione per fare un bilancio della sua attività e soprattutto per capire quali scenari adesso attenderanno Palermo. In attesa del nuovo assessore alla Cultura.
È da poco terminato “l’anno di Palermo”, un 2018 costellato di grandi eventi e riconoscimenti, da Manifesta al titolo di Capitale Italiana della Cultura. Come ci si sente, da assessore alla Cultura, all’indomani di 12 mesi così intensi?
Sono soddisfatto di quanto siamo riusciti a ottenere. Ho ereditato una poltrona difficile in un momento difficile, economicamente ed amministrativamente. Palermo però ha vissuto un momento di grande visibilità nazionale e internazionale e ha saputo declinare la propria visione in un progetto culturale coerente e ampio. Dal Giardino Planetario a Palermo Capitale delle Culture il fil rouge è stato la promozione della cultura della fiducia, dell’accoglienza e del dialogo contro la paura, le divisioni ed il monologo. In piena condivisione con il Sindaco ho sviluppato, attraverso la programmazione delle azioni e degli eventi culturali, una narrazione sempre più definita, e oggi Palermo ha acquisito una credibilità nazionale e internazionale per alcuni temi forti legati alla contemporaneità e la globalizzazione. Palermo non è culturalmente neutrale ma connotata. Esiste una voce di Palermo, per quanto plurale, ed è oggi una voce ascoltata e autorevole.
Tra i tanti eventi che si sono susseguiti nell’arco del 2018, Manifesta è sicuramente l’appuntamento su cui sono state investite, più di altri, energie e aspettative, e che ha catturato l’attenzione mediatica internazionale. Cosa ha lasciato a Palermo l’esperienza di Manifesta? Quali sono i frutti che ha raccolto la città?
Questa è stata un’edizione di Manifesta molto particolare. La città non ha ospitato semplicemente un evento internazionale, Palermo è stata l’evento internazionale! Questo è stato possibile grazie al dialogo costante e alla condivisione di progetto tra l’amministrazione e Manifesta. Non ho mai interpretato la cultura come un settore scollato dal progetto civico ampio, e in tal senso ogni mio sforzo è stato votato allo sviluppo e al compimento di una visione. Manifesta ha dato un enorme contributo a tutto ciò, la città è stata in continuo fermento, è stata osannata su migliaia di testate internazionali e anche il settore turistico ha visto una notevolissima impennata. A breve pubblicheremo la valutazione d’impatto affidata a Fitzcarraldo che racconta chiaramente quanto Manifesta sia stata utile per la città. Ma Manifesta è un tassello di un lungo percorso di cambio culturale che la città porta avanti da anni. Se penso alla Palermo degli anni ’70 ed ‘80 in cui sono cresciuto sembra quasi un miracolo… Eppure la strada da percorrere è ancora tanta.
C’è chi afferma che Manifesta abbia in qualche modo “utilizzato” Palermo per reinventarsi e dare nuova linfa alla natura della biennale. Aspetto che sembrerebbe essere confermato dalla scelta di replicare il “modello Palermo” anche per la prossima edizione a Marsiglia: ovvero affidare a 4 Creative Mediators la curatela della biennale, con un approccio alla città che non sia soltanto artistico ma anche sociale, antropologico e politico. Al di là delle voci, cosa ha dato Palermo a Manifesta? Si è trattato di uno scambio equo?
Palermo è una città, Manifesta è un’iniziativa. Sembra banale ricordarlo ma non si può pensare all’incontro tra una città e un evento come a un incontro di box. Non c’è un vincitore e un vinto, c’è un percorso fatto insieme in cui ci si è reciprocamente influenzati. Anche questo rappresenta la nostra idea di accoglienza, ovvero la capacità di lasciarsi attraversare senza timore, di esserne cambiati, e senza timore di donare qualcosa. L’incontro, se ben coltivato, è sempre capace di trasformare. E in tal senso Manifesta ha trasformato Palermo e Palermo ha trasformato Manifesta.
Dopo un anno così intenso, come sarà il “post 2018” di Palermo? In che modo si strutturerà la visione e la programmazione culturale della città?
Uno dei miei ultimi atti è stata la formalizzazione del patto “Palermo CulturE”, ovvero l’idea di continuare, mantenendone il logo, il modello integrato di progettazione, programmazione e comunicazione culturale adottato con successo per Palermo Capitale Italiana della Cultura. Dunque la capacità di fare sistema con tutti gli organismi istituzionali territoriali e con il partenariato ampio dei musei, teatri, Università, Conservatorio, Accademia, ecc. Tutto ciò vedrà la luce nei prossimi mesi con un nuovo portale integrato, un nuovo modello di governance e il lancio di una e-ticketing integrato.
Molti temono che dopo Manifesta e il titolo di Capitale Italiana della Cultura, l’attenzione internazionale su Palermo possa in qualche modo scemare. In che modo bisogna lavorare adesso per mantenere sempre vivi l’attenzione e i risultati raggiunti finora?
Bisogna innanzitutto crederci. Manifesta non ha mai avuto tanta attenzione mediatica quanto in questa edizione. E Palermo non ha mai avuta tanta attenzione mediatica sulla cultura nemmeno sommando gli ultimi dieci anni. Palermo già c’era e Manifesta non ci sarà più, dunque hanno vinto le idee. La cultura è in estrema sintesi un dialogo continuo tra narrazioni diverse e credo che Palermo da questo punto di vista stia dando un importante contributo al paese. Bisogna continuare con coraggio in questa direzione. Basterebbe mettere a regime il sistema dei festival della città (oggi oltre 40) per mantenere un clima di vivacità sulle idee e continuare a rilanciare la città. Sarò felice se il mio sforzo sarà servito anche in piccola parte a raggiungere questo risultato.
…Un’attenzione internazionale che alla città è stata dedicata non solo dai media, ma sembrerebbe anche dagli attori dell’art system globale. Cosa puoi dirci dei rumors circa una possibile apertura di una sede della galleria Hauser & Wirth a Palermo?
Nulla. Sono abituato a raccontare le cose che sono successe, o tutt’al più che succedono. Per quelle coniugate al futuro preferisco attendere. Posso dire comunque che la città è superba, ha costi molto bassi e per chi viene da fuori è sempre una scoperta entusiasmante. Il 2018, e già il 2017, ha portato a Palermo moltissimi operatori culturali, artisti, galleristi, collezionisti da tutto il mondo. Tutti sono rimasti affascinati, tanti hanno espresso l’intenzione d’investire, alcuni lo faranno… o l’hanno già fatto.
Altri rumors circa le tue dimissioni dalla carica di assessore sono state confermate proprio negli ultimi giorni. Come mai questa scelta?
È vero, mi sono dimesso. Ringrazio il Sindaco per aver fatto nel 2014 la scelta di chiamarmi al suo fianco, è stato un dono importante e del quale gli sarò sempre riconoscente. Tuttavia non posso dimenticare di essere entrato in Giunta da tecnico e che da tecnico ho inteso uscire. Questa straordinaria esperienza mi ha arricchito e mi ha fatto crescere, torno adesso a svolgere il mio compito di artista e ricercatore e abbraccerò il mio nuovo ruolo di padre per il quale sono profondamente emozionato.
Dopo l’impegno istituzionale, quali sono i tuoi progetti futuri?
È stato un impegno totalizzante, che ho svolto per amore della mia città, ma non ho alcuna ambizione politica. Ho piuttosto bisogno di tornare a nutrirmi di poesia. Ho comprato uno studio a Palermo, riprenderò a dipingere e scolpire e riprenderò in mano i miei spettacoli, iniziati e posteggiati per quasi 5 anni… a partire da Petit cheval blanc, che avevo scritto a Londra per Ernesto Tomasini.
Ti andrebbe di fare un bilancio sul tuo assessorato a Palermo? Cosa rifaresti e cosa avresti voluto fare ancora?
Credo di non avere rimpianti. Fare l’assessore è molto complicato, soprattutto in una realtà complessa come Palermo. Si può sempre fare di più e meglio, ma so per certo di aver fatto tutto il possibile. Sono felice di aver dato vita a BAM la Biennale Arcipelago Mediterraneo, sono felice di aver contribuito al nascere di tante iniziative come il Festival delle Letterature Migranti, la Via dei Librai, il Festival Ballarò Buskers e Piano City Palermo. Sono felice di aver dato un’importante svolta ai Cantieri Culturali alla Zisa, di aver fatto di ZAC un punto di riferimento per l’arte contemporanea, di aver costruito un tavolo permanente di dialogo con le principali istituzioni culturali della città, cosa scontata ma che mancava… Sono felice di aver riaperto e dato vita a luoghi simbolo della cultura di Palermo come lo Spasimo, dopo anni di oblio, e di aver facilitato le condizioni per una maggiore apertura al mondo della cultura internazionale.
Cosa non rifaresti invece?
Forse non rifarei… Dare la mia disponibilità, il mio tempo e il mio impegno a persone e artisti, anche validi, che pensano solo alla propria gloria e poco, pochissimo, al fatto che Palermo, città meravigliosa con una storia di dolore, per poter veramente cambiare ha bisogno di amore, gioia, leggerezza (quella di Calvino), e non di egomani geniali. Poi se ci sono anche loro ben venga, ma il mio è stato un ruolo politico e come tale ho cercato di guardare il più possibile alla collettività, perché è solo da ognuno di noi singolarmente e in ogni nostro gesto quotidiano che può nascere un nuovo mondo. E Palermo oggi ha la possibilità, oltre che il bisogno, di esprimere un mondo nuovo.
Che consigli daresti al tuo successore?
Gli racconterei delle nuove cose a cui avevo iniziato a lavorare e che non ho potuto completare, gli racconterei di quali sono stati i punti di forza e quelli di debolezza. Più che consigli, un passaggio di testimone, poi ognuno ha il suo modo d’interpretare i ruoli. Mi sentirei però di dire: “armati di una dura corazza all’esterno se vuoi mantenere caldo il cuore del tuo progetto. Ma piena di giunture per poterti muovere con massimo agio. E soprattutto ama e credi in quello che fai, perché non sarà una passeggiata”.
– Desirée Maida
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