Mid size gallery. Intervista a Paola Capata
Prosegue la nostra ricognizione sulle mid size gallery italiane. Stavolta la parola va a Paola Capata, direttrice di Monitor, con sede a Roma e Lisbona.
La nascita a Roma nel 2003, con un focus sul linguaggio video, poi lo spazio a Manhattan e dal 2017 una seconda sede a Lisbona. Monitor è l’esempio ideale di una mid size gallery italiana. Dell’attuale situazione abbiamo parlato con Paola Capata.
Monitor è molto cambiata nel tempo. Come definiresti il percorso che ha compiuto la tua galleria? E quali strategie stai affrontando per fronteggiare le sfide del mercato?
La percezione all’esterno è che Monitor sia cambiata nel corso degli anni, ma per chi l’ha creata e la gestisce Monitor è semplicemente un viaggio attraverso il tempo, gli incontri, le situazioni che si sono succeduti nello scorso quindicennio. Sicuramente l’aver aperto le proprie porte con il linguaggio video (che in Italia si seguiva poco e a Roma ancor meno) ha contribuito a farne un piccolo punto di riferimento.
E ora?
L’attenzione per il linguaggio video c’è sempre (abbiamo artisti come Nathaniel Mellors e Laurent Montaron, mentre da circa un anno si è aggiunta la rappresentanza di Pat O’Neil), ma negli anni si è deciso di puntare anche su un altro aspetto a nostro parere ancora poco investigato con metodo e costanza: la pittura figurativa. Con il passare del tempo, la galleria si è avvalsa della collaborazione di pittori straordinari: Ian Tweedy, Peter Linde Busk, Benedikt Hipp per citare gli internazionali; Nicola Samorì, Matteo Fato e Thomas Braida per gli italiani. Stiamo ospitando una collettiva tutta al femminile dove sono state chiamate a partecipare cinque giovani pittrici italiane. La mostra If is untouchable is not beautiful mira a investigare il loro approccio al mezzo pittorico, i loro riferimenti, le loro suggestioni e chiaramente le loro diversità.
Nel tempo hai inaugurato diverse sedi in giro per il mondo: con quale criterio hai scelto di aprire o chiudere gli spazi?
Dal 2013 al 2015 Monitor ha concentrato molte energie negli Stati Uniti. Abbiamo realizzato una decina tra mostre ed eventi con uno spazio nel Lower East Side di New York, che è stato nell’ultimo periodo studio del nostro artista Tomaso De Luca. L’intenzione era di comprendere più a fondo le dinamiche del mercato statunitense e interagire con la scena newyorchese. Si è trattato sin dagli inizi di un progetto temporaneo, poiché la gestione di spazi così lontani non poteva avere un carattere permanente, ma ha comunque portato moltissimo alla galleria. Diverso è il caso di Lisbona.
Ce ne parli?
Monitor ha aperto una sede nel 2017 e propone una programmazione piuttosto serrata, dove alterna artisti locali (per lo più giovani emergenti) ai propri rappresentati. L’intenzione è di entrare sempre di più nella scena portoghese interagendo con gli attori principali ma anche apportando un contributo importante.
Che rapporto hai con le fiere?
Sono fondamentali e danno il ritmo all’anno lavorativo della galleria. Chiaramente è importante stabilire che interesse spinge a partecipare a una piuttosto che a un’altra manifestazione fieristica, altrimenti il rischio è una dispersione inutile di capitali e di energie. Quest’anno abbiamo deciso di focalizzarci su fiere italiane e ispaniche, mentre gli anni precedenti si è guardato molto agli Stati Uniti.
‒ Santa Nastro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #47
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