Impronte. Scultura e fotografia nel lavoro
Impronte indaga la relazione tra il linguaggio della fotografia e della scultura attraverso un dialogo serrato tra le opere di tre artisti che hanno posto tale questione al centro della loro ricerca.
Comunicato stampa
Sabato 9 marzo Passaggi Arte Contemporanea inaugura la collettiva Impronte. Scultura e fotografia nel lavoro di Nicolò Cecchella, Darren Harvey-Regan e Marco Maria Zanin, a cura di Angela Madesani.
Impronte indaga la relazione tra il linguaggio della fotografia e della scultura attraverso un dialogo serrato tra le opere di tre artisti che hanno posto tale questione al centro della loro ricerca. Una ricerca che ha le sue radici in alcuni illustri maestri, da Medardo Rosso a Costantin Brancusi, a Georges Vantongerloo e comporta una riflessione su concetti intrinseci al significato stesso di riproduzione fotografica, quali quelli di registrazione, calco, indice, anacronismi temporali. Come scrive Angela Madesani nel catalogo che accompagna la mostra: «La fotografia, dunque, come registrazione, calco del circostante, ma anche come possibilità ulteriore di lettura della scultura, che si affranca da quella canonica, frontale, proposta nel XIX secolo dagli Alinari, per giungere a letture ulteriori, di natura fenomenologica, attraverso le quali è possibile giungere a una più complessa e forse veridica lettura dell’oggetto attraverso un processo di natura gnoseologica. Il calco, come affermato dal filosofo Georges Didi-Huberman uno dei più importanti studiosi di questo tipo di problematica, introduce a due concetti fondamentali: contatto e perdita. L’orma lasciata dal piede nella sabbia, ma anche la perdita, l’assenza del piede stesso. E qui possiamo riprendere il concetto di indice, coniato oltre cento anni fa dal semiologo Charles S. Peirce. Indice in contrapposizione a icona, contatto e somiglianza, fotografia e pittura».
Ciascun artista è presente in mostra con opere rappresentative del proprio percorso di ricerca. Numerosi sono i rimandi e gli echi che si intessono tra i differenti lavori.
La ricerca di Nicolò Cecchella si configura come indagine sull’origine del visibile, un’interrogazione con linguaggi diversi sul senso della rappresentazione. Un tema ricorrente nel suo lavoro è quello del calco, gesto archetipico inscritto nella fisicità, che coinvolge la figura umana tra presenza e assenza. In mostra, le due barre in bronzo di Traccia recano i segni dello scavo di denti. Calchi in terracotta del volto dell’artista compongono l’installazione Volto terra; uno dei quali, internamente rivestito di pigmento al platino, annulla la figurazione diventando unicamente luogo di luce e riflessi. Volto Ombra, ulteriore rielaborazione fotografica dei calchi dei volti, condensa il percorso di ricerca: la terracotta come materiale empatico originario e luogo naturale della traccia, ombra e luce come generatori di forme, di proiezioni, di sembianze, la tecnica fotografica come possibilità di permanenza della forma. Attorno al tema di ciò che resta del rappresentato è incentrato il raffinato progetto Statua, raccolta di fotografie di antiche statue mutile presenti nei Musei di Roma.
Anche Marco Maria Zanin legge le proprie installazioni e sculture attraverso la fotografia per andare oltre una dimensione prettamente documentaria, lasciando affiorare anacronismi e stratificazioni temporali. Se i resti appartenenti al passato “possono essere considerati come dei sintomi di altre temporalità che pulsano sotto la superficie del presente” - così come affermato da Didi-Huberman - la rilettura degli oggetti del mondo contadino veneto (Ferite/Feritoie) o degli scarti architettonici di vecchi palazzi brasiliani (Natura Morta, Restituzione) operata da Zanin rompe lo status attribuito all’oggetto dalle categorie di pensiero della temporalità dominante, creando un cortocircuito che decontestualizza e apre a nuove letture l’immagine-oggetto, donandole una dimensione eterea.
In questo tipo di operazione vi è un legame evidente con l’opera di Walker Evans, Beauties of the common tool, realizzato per la rivista Fortune nel 1955. Un lavoro che ha fortemente influenzato anche Darren Harvey-Regan, da sempre attento al rapporto tra l’oggetto e la sua rappresentazione, che ha intitolato una serie di suoi lavori, di cui uno presente in mostra, Beauties of the common tool, rephrased.
Nel percorso artistico di Darren Harvey-Regan il rapporto tra scultura e fotografia è portante, sebbene sia quest’ultima il linguaggio primario di riferimento. L’artista indaga la relazione tra bidimensionalità e tridimensionalità, effettuando una ricerca di matrice linguistica sugli slittamenti dei diversi linguaggi dell’arte, come è evidente nelle opere in mostra Phrasing e The Erratics#3. La sua ricerca è scultorea nel processo per giungere a un esito fotografico. Tra i due linguaggi figurativi intercorre sempre un dialogo molto complesso, in cui a volte è la fotografia a prevalere, e dove le opere scultore sono spesso realizzate per indagare meglio il medium fotografico.
Nicolò Cecchella (1985), vive tra la provincia di Reggio Emilia e Roma. La sua ricerca affronta le tematiche dell’immagine, del corpo, dell’identità e si esplica attraverso l’utilizzo di diverse pratiche (fotografia, scultura, scrittura poetica) e la loro interazione. Recentemente ha partecipato alle mostre collettive: Spatium, Palazzo Barbò Torre Pallavicina, Bergamo (2018); In Posa, Galleria del Cembalo, Palazzo Borghese, Roma (2016); per La Triennale di Milano CRT Teatro dell’Arte ha curato la scenografia dello spettacolo “Mi Richordo Anchora”. Ha esposto al Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee 2016. È stato premiato a Portfolio Europa, Festival Fotografia Europea (2013). È tra i membri fondatori del Teatro Sociale di Gualtieri.
Darren Harvey-Regan (1976) vive e lavora a Londra. Si è laureato al Royal Collage of Art. Il suo lavoro è stato esposto in numerose mostre in spazi pubblici e privati ed è entrato a far parte della collezione permanente del Victoria & Albert Museum e della Frédéric de Goldschmidt Collection. Tra le mostre recenti ricordiamo: Synesthesia, Peninsula Arts, Plymouth (2018); Metalepsis, Copperfield, London (2017), The Erratics, Copperfield, London (2015 - 2016); The Erratics, Passaggi Arte Contemporanea, Pisa (2015). Nel 2009 riceve il premio Leverhulme Trust. Il suo ultimo libro The Erratics (RVB Books, Paris, 2017) è stato selezionato tra i finalisti di “Aperture/Paris Photo Award” 2017.
Marco Maria Zanin (1983) vive e lavora tra Padova e San Paolo del Brasile. Si laurea prima in Lettere e Filosofia, poi in Relazioni Internazionali. Obiettivo del suo lavoro di artista e operatore culturale è generare una rilettura del mondo, legato alle radici e alle tradizioni popolari capace di tradurne le potenzialità per il presente e il futuro. Tra le mostre personali più recenti, Arzaná, Marignana Arte, Venezia (2018); As obras e os dias, Pivô Arte e Pesquisa, San Paolo (2017); Dio è nei frammenti, Galleria Civica di Modena (2017). Sue opere sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private, tra cui il MART di Rovereto, il Salsali Private Museum di Dubai, la Galleria Civica di Modena, il Museo Morandi di Bologna. Nel 2015 è fondatore della piattaforma Humus Interdisciplinary.