Un’enorme piscina invasa dalle sterpaglie, una stazione senza binari, un ponte in disfacimento, che non conduce da nessuna parte. E poi decine di impianti sportivi, senza finestre, cosparsi di rovi e piante rampicanti. Sembrano immagini di un film di fantascienza, e invece sono solo alcune delle fotografie presenti nel libro Incompiuto. La nascita di uno stile, realizzato da Alterazioni Video e Fosbury Architecture.
Il libro propone una catalogazione e, insieme, una lucida riflessione sulle opere pubbliche incompiute in Italia, riconoscendo l’incompiuto come “lo stile architettonico più importante dal secondo dopoguerra a oggi”. Ad accompagnare le fotografie, un Manifesto, un Diario di bordo, alcune mappe e brevi saggi teorici che portano la firma di Marc Augé, Robert Storr, Wu Ming, Paul Virilio, Leoluca Orlando, Marco Biraghi, Salvatore Settis e Antonio Ricci.
Tesi di fondo del libro è che i 696 cantieri marcescenti diffusi capillarmente in tutto il Paese, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia (che vanta il triste primato di 156 opere incompiute), costituiscano una tipologia particolare di rovina. Non si tratta di edifici lacerati, distrutti dai combattimenti o da qualche calamità naturale, ma di edifici mai terminati, divenuti rovina ancor prima di essere abitati. “Le aggiunte o le sottrazioni dall’intero sono arbitrarie, in modo completamente imprevedibile”, scrive Robert Storr, e poi aggiunge: “È come se un costruttore surrealista avesse all’improvviso iniziato a erigere qualcosa e altrettanto all’improvviso si fosse fermato per motivi che non scopriremo mai”.
OPERE PUBBLICHE INCOMPIUTE
Il rapporto tra forma e funzione di questi edifici si è dissolto. L’originaria destinazione d’uso non è mai stata rispettata. L’enorme guscio in cemento che sorge nelle campagne di Acri, in provincia Cosenza, ha l’aspetto e la forma di un palazzetto dello sport, ma nessuno l’ha mai utilizzato come tale. Nessun aereo è mai decollato sull’aviopista di Teggiano, nessuno spettacolo si è mai svolto nel teatro di Rosarno, non una messa che si sia celebrata nella chiesa di Belvedere Marittimo. Come catalogare questi edifici, se non come opere autonome, indipendenti dalle volontà dei progettisti, dotate di “un’etica e un’estetica proprie”? E che dire poi delle costruzioni solo abbozzate, dei sei pilastri in mezzo a Valle San Lorenzo che avrebbero dovuto diventare un viadotto, e di tutti quegli scheletri in cemento armato di cui è impossibile intuire il disegno originario? Veri e propri “monumenti aperti all’immaginazione”, secondo gli autori del libro. In questi casi, il rapporto tra immagine e didascalia propone stranianti giochi concettuali: del Centro Turistico di Faeto vediamo solo lampioni disseminati su una collina, del Carcere Mandamentale di Penne solo quattro mura sbrecciate, sprovviste persino di tetto, nel cuore della riserva naturale. Quasi un’evoluzione sofisticata delle installazioni di Piero Manzoni, che chiedeva ai visitatori di immaginare che un parallelepipedo in ferro nel parco di Herning fosse la Base del mondo.
Non deve stupire che, tra le firme dei testi disseminati nel libro, troviamo il nome di Antonio Ricci. Come raccontano gli autori nell’introduzione, l’archivio dei servizi di Striscia la notizia fu una fonte preziosa per le loro ricerche. Il primo a occuparsi, in Italia, nel 1992, di opere pubbliche incompiute, non fu un giornalista o un intellettuale, ma un pupazzo rosso armato di telecamera. La modalità di racconto è quella che conosciamo bene: servizi che alternano inquadrature di strutture fatiscenti – insistendo sugli atti di vandalismo – a informazioni sugli sprechi di denaro pubblico, spesso inserendo la celebre battuta di Totò E io pago, scatenando così l’indignazione dei cittadini. Servizi che, proprio per la loro ripetitività, finiscono per soffocare l’oggetto che vorrebbero raccontare, poiché, come ammette lo stesso Antonio Ricci, “qualunque cosa ripetitiva in tv immediatamente passa, tende a essere rimossa: la gente gira e non la guarda più”.
IL CASO DI GIARRE
Le fotografie di Incompiuto si discostano da questa narrazione e ricercano un punto di vista autoriale. In alcuni casi l’obiettivo rintraccia pattern di muffe, vernici scrostate, muschi e sacchi di segatura, quasi a sottolineare una sensualità della materia. Più spesso, l’obiettivo si pone a centinaia di metri di distanza dai soggetti, riuscendo così a cogliere la relazione che s’innesca fra le opere e il paesaggio. Un senso di quiete pervade le immagini, non c’è la morbosità tipica dell’estetica amatoriale, la vegetazione avvolge le armature di cemento ridefinendone le forme, “trasforma l’architettura in una seconda natura”.
Sempre più isolate e inaccessibili, queste rovine pulsano di una propria silenziosa vitalità, si pongono come templi o altari dell’incompiutezza. Sono delle omissioni, segni negativi sul paesaggio. Al contrario dei palazzi sventrati dai bombardamenti, che con la loro presenza tengono vivo il ricordo e ci rimandano continuamente a un tempo di guerra, queste macerie, come rileva Giorgio Vasta nel suo Absolutely Nothing, racchiudono “un tempo di procrastinazioni e inadempienza, di una perenne inadeguatezza a trasformare i progetti in azioni”. Indicano “il non esserci stati, in generale la nostra incapacità di esserci. Qui giace tutto ciò che non è accaduto”.
Emblematico il caso di Giarre, cittadina siciliana di 28mila abitanti che sul suo territorio presenta ben otto grandi opere incompiute, tra cui un teatro, un mercato dei fiori e un lussuoso campo da polo. Progetti ambiziosi che, per mancanza di fondi o fallimenti delle imprese, non sono mai stati portati a termine. Inevitabile, allora, che il discorso passi dal piano estetico a quello politico: che futuro immaginiamo possa avere un ragazzino che cresce a Giarre, un paese ormai divenuto, a detta degli autori, vero e proprio “parco archeologico dell’incompiuto”?
ROVINE E MACERIE
Proprio perché prive di morbosità, le immagini di Incompiuto lasciano intuire tutto il fascino e la malinconia che queste rovine esercitano su di noi. Emerge, come sottolinea Augé, “la bellezza di ciò che avrebbero potuto essere, la bellezza del momento in cui tutto era ancora possibile, la bellezza del gesto originale e dello slancio primario bruscamente interrotto”.
Allo stesso modo, il film In the Mood for Love di Wong Kar-wai – citato proprio da Augé nel suo Rovine e macerie – racconta di un amore mai realizzato. Il desiderio fra i due protagonisti non troverà mai uno sviluppo. E, col tempo, restano solo i ricordi dei momenti d’intimità, le antiche promesse di un futuro luminoso, divenute, a tutti gli effetti, rovine incompiute. “Un’altra storia era possibile, essa semplicemente non c’è stata e non è più possibile”.
Agghiacciante la mappa posta a conclusione del libro: sulla pagina bianca sono segnalate unicamente le opere pubbliche incompiute, che, da sole, proprio per la loro straordinaria diffusione, tracciano con precisione i confini dell’Italia. Affiora così l’immagine di un Paese in negativo. Siamo le case in cui non abbiamo mai abitato, i ponti che non abbiamo mai costruito. Abbiamo disseminato macerie, senza mai combattere una guerra.
‒ Giulia Oglialoro
Alterazioni Video, Fosbury Architecture ‒ Incompiuto. La nascita di uno stile
Humboldt Books, Milano 2018
Pagg. 332, € 30
ISBN 9788899385460
www.humboldtbooks.com
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